Il manifesto di un’epoca
giovedì 7 settembre 2023

Nessun altro luogo come la Mongolia, la terra della quale Guglielmo di Rubruk scrisse che vi viaggiò «non vedendo niente se non cielo e terra», è apparsa come la patria naturale dell’enciclica Fratelli tutti. Nell’incontro ecumenico e interreligioso, a conclusione del viaggio, il Papa non l’ha neppure citata, ma non occorreva farlo, tanto era presente e viva in un incontro che in realtà non parlava d’altro. E non parlava d’altro, in senso complessivo, tutto il paesaggio e la stessa architettura di un Paese modellato, pur tra i suoi enormi spazi, al valore dell’armonia che ha fatto pensare a una sorta di copia conforme di tutta la trama dell’enciclica papale.

Si può dire che dopo l’incontro di Ulan Bator, la Fratelli tutti ha assunto definitivamente la funzione di un vero e proprio “manifesto d’epoca”. Non esiste “titolo”, infatti, che ricorra con tanta frequenza a indicare le grandi questioni che percorrono questo primo, tragico e complesso quarto di secolo. Non è, come ogni altra, un’enciclica a tema. Ma la singolarità è che non ne esclude alcuno dei tanti che scuotono un tempo segnato da due rovinose epidemie: l’una biologica, il Covid-19, l’altra scatenata, in Ucraina, nel cuore dell’Europa, dall’ennesima deriva di odio e sopraffazione.

Non c’è occasione in cui il “titolo”, in questi tre anni di vita, non si sia fatto largo come una specie di comune denominatore in grado di ricondurre a sé ogni cosa; e anche dal versante opposto, come è accaduto nel messaggio che il Papa ha inviato al Meeting di Rimini, nel quale si evocava, di fronte alle guerre che seminano nei cuori divisioni e paure, una sorta di “epidemia di inimicizia”. Appena pochi giorni prima, e in tutt’altro contesto, proprio dall’Enciclica di Francesco, era venuto - in maniera forse inaspettata - lo spunto per attualizzare, e semmai rilanciare, a sessant’anni dal Codice di Camaldoli, l’impegno dei cattolici in politica. Si tratta, certo, di un versante circoscritto alla realtà italiana.

Ma anche questa “quota interna” ha contribuito, a suo modo, a conferire alla Fratelli tutti, la vidimazione di un documento a sé nella storia del magistero Pontificio. Ciò che sta emergendo è il fatto straordinario di un’enciclica letta come voce stabile ed essenziale nell’ordine del giorno, non virtuale, delle grandi questioni che l’umanità, a ogni livello, si trova ad affrontare. Non c’è quasi più bisogno, ormai, di passare agli archivi per la consultazione, dal momento che non esiste un documento non solo più citato, ma più inserito e più vitalmente attivo in tutti gli ambiti di dibattito che la complessità dei tempi produce. E il modo in cui il documento è riuscito via via a trasformarsi nel ponte permanente di dialogo tra Chiesa e comunità civile - a ogni livello e sotto ogni latitudine rappresenta a sua volta un valore a sé.

Non si è trattato di un processo teorico, ma della visibilissima composizione, tema per tema, dell’agenda-madre del nostro tempo. Universale nella natura, come tutti i pronunciamenti dei Papi, la Fratelli tutti si è guadagnata sul campo il titolo di enciclica del tempo globale, perché globale è essa stessa, nel senso di una vastità di questioni mai tanto evidenti e mai tanto aderenti ai tempi. Sicché - ed è questo il punto centrale - è proprio la Fratelli tutti a segnare ora il punto di passaggio da un documento di successo a un vero e proprio manifesto d’epoca.

Non si tratta di una differenza di poco conto, bensì della testimonianza dal vivo, non solo e non tanto dell’attualità, quanto della presa reale di un documento del Papa. La Fratelli tutti si può oggi identificare come l’enciclica in uscita che ha piantato le tende nella realtà di un mondo inquieto e sempre in attesa. Non ha avuto bisogno di farsi largo, perché intorno a sé lo spazio si è aperto in modo naturale. C’era bisogno di un tale “titolo” per rendere più credibile ogni tipo di narrazione.

Come l’incipit di un mondo nuovo, il ritorno a un umanesimo o di base dal quale ripartire per ogni tappa successiva. Ed è per questo che l’enciclica è stata più volte evocata come base di dialogo nelle missioni di pace che il cardinale Zuppi ha condotto prima a Kiev, poi a Mosca e successivamente a Washington, mentre si prepara la delicatissima tappa di Pechino. E non è mai stato possibile mettere da parte il documento nato dal prologo di Abu Dhabi sulla fratellanza universale, quando al fenomeno delle migrazioni si è data l’unica dimensione possibile, quella di una vera questione epocale.

E c’entra ancora e più che mai la Fratelli tutti nella visione del Mediterraneo come frontiera di pace che, dopo il summit della Papa con i vescovi di tutte le Chiese affacciate su quel grande mare, porterà a fine mese Francesco a Marsiglia. E già nel nome, l’enciclica vale come un’irrevocabile scelta per i poveri. E per la giustizia, il progresso dei popoli, la lotta a ogni forma di sopraffazione. Si può capire come la Fratelli tutti non sia stata semplicemente accolta, ma assunta come visione di un mondo al quale mettere mano. Non solo documento, dunque, ma autentico manifesto di una nuova fraternità. E vedere come la speranza insita nel titolo dell’enciclica riesca già ora a tenere accesi i fari - a cominciare dalle missioni di pace - è certo un sollievo.

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