venerdì 6 marzo 2009
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«I poteri forti ci ricattano, tengono in ostaggio la nostra immaginazione. Ci dicono che con la decrescita scenderà su di noi la tristezza di un’infinita quaresima. Non è vero niente. Invertire la corsa ai consumi è la cosa più allegra che ci sia». È uno dei temi forti di un recente saggio di Serge Latouche, celebre teorico della 'decrescita' («Breve trattato di decrescita serena»). In verità, non c’è solo allegria, all’orizzonte della sua 'decrescita'. In una recente intervista, lo studioso ha pronunciato anche parole piuttosto forti, a riguardo delle resistenze profonde che abitano la scena delle nostre società affluenti: «Se un politico andasse in tv e dicesse: signori, stiamo viaggiando su un treno senza conducente, da domani dobbiamo cambiar vita... Se quel politico desse nuove regole di comportamento virtuoso alla nazione, non ho dubbi che sarebbe ucciso nel giro di una settimana». L’apologo drammatizza, allo scopo di far intendere la serietà epocale del problema. Lo si può capire. È diventato così disperatamente difficile dare spessore collettivo al tema – drammatico – della qualità in cui deve ritornare ad abitare l’uomo occidentale (e se ci ritorna lui, ne verrà comunque un gran bene anche per gli altri). La cosa è scivolosa, anche se tutti capiscono ormai che è proprio lì il punto. Scivolosa perché non appena cerca di scendere dal cielo degli auspici morali, per abitare la terra in cui viviamo, finisce immediatamente in ecologia e in economia. «Glaciazione o stagnazione»? «Problema dei rifiuti tossici, problema dei titoli tossici». «Bisogna smetterla di aggredire il pianeta, riducendolo prima a immensa cava di materiali da sfruttare, e poi a immensa discarica». Tutto vero, naturalmente. Eppure, come mai abbiamo l’impressione di allontanarci subito dal nostro problema (la qualità umana, ricordate?), e addirittura di finire di nuovo nello scenario allestito dai signori della quantità, della voracità, della mercificazione, delle operazioni chirurgiche inutili e dell’allegra finanza parassitaria? E perché non riescono a convincerci, nei momenti più critici, le 'loro' accorate proposte 'quaresimali'? Forse perché, in un attimo, diventano business anche quelle, con tanto di gadget ecologici e borse griffate per il risparmio energetico, mentre il nostro orecchio sente che la musica non cambia? La musica dei rapporti umani ridotti a risorse funzionali, dico, e l’anoressia della mente, la disidratazione della parola, la sistematica riconversione del colloquio e del dibattito in spettacolo della chiacchiera, lo sbeffeggio della qualità spirituale, della dedizione al pensiero. E la diffusione della zizzania nel più piccolo fazzoletto di terra in cui si coltivano le virtù negate: la discrezione dell’intimità, la passione per il lavoro che abbellisce la comunità, la condivisione delle risorse di resistenza umana nelle situazioni-limite. La situazione è «ormai così grave, che la speranza ci è di nuovo permessa». Lo ha scritto Maurice Bellet, sacerdote, noto filosofo e psicanalista francese, che si è recentemente concentrato sul tema dell’astinenza («Invito. Elogio della gratuità e dell’astinenza»). Perché ormai non si tratta di confrontarsi semplicemente su ideali di moderazione e di misura. La lotta è contro la 'dismisura' della sottrazione dell’umano, in cui si avvilisce Dio. La svolta, infatti, sta in questo: questa sottrazione dell’umano, mascherata come crescita, non è più eccesso della trasgressione, è istupidimento della norma. Non siamo più comunità a pane e cipolle tutto l’anno, quando bastava un piccolo segno (eppure, i nostri padri erano più seri, anche in questo). La quaresima cristiana non può davvero limitarsi agli innocui fioretti di qualche giorno diverso dal solito, per quanto aggiornati via sms. È lavoro di aratro e di vanga, quello che deve scavare il segno, mutando l’aspetto dell’intero campo. Deve lasciare un solco durevole, per i buoni semi da gettare dopo i quaranta giorni. Nella sua quaresima, il Signore, decise un’intera vita e la sua destinazione. Facciamoci venire idee di lunga portata, fratelli e sorelle, che durino più di uno spot. È questo, il momento opportuno. È questo, il tempo favorevole.
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