Il giusto valore della persona e la forza dell’«obiezione»
sabato 26 gennaio 2019

Caro direttore,
la Dichiarazione universale dei diritti umani, di cui abbiamo ricordato il 10 dicembre scorso, i 70 anni di faticosa applicazione e di ricorrenti violazioni, nel Preambolo, che precede l’articolato e che, purtroppo, viene abitualmente omesso nelle pubblicazioni manualistiche e comuni, afferma la fede dei popoli delle Nazioni Unite «nella dignità e nel valore della persona umana».

E l’articolo 1 della Dichiarazione, pur non parlando di 'persona', ne traccia il profilo e la dotazione costitutiva: «Tutti gli esseri umani – così recita – nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza», come a dire che l’essere persona, proprio di tutti e di ciascuno, è il principio generativo della titolarità dei diritti e della responsabilità dei doveri.

L’impianto personalista della Dichiarazione reca il contributo di Jacques Maritain, che partecipò alla redazione dei 30 articoli a conclusione del suo impegno nel movimento che, dalla Carta Atlantica del 13 agosto 1941, condusse all’istituzione dell’Onu (1944 -1945) e alla Dichiarazione del 1948. Cade in questo periodo (1942), la pubblicazione a New York del saggio su 'I diritti dell’uomo e la legge naturale': manifesto di un umanesimo politico, che pone la filosofia della persona umana e del Bene comune a fondamento di una democrazia sociale e di una politica democratica. In questo breve ma intenso saggio, troviamo lo schema dell’articolato della Dichiarazione, a partire dalla distinzione che Maritain propone tra 'individuo' e 'persona'.

Come individuo, l’uomo sviluppa la dimensione materiale del suo essere ed è una parte della natura e della società; ma come persona enuncia lo spirito che lo abita ed è, perciò, un tutto che supera la natura e la società e ha una dignità assoluta, perché è in relazione diretta con l’Assoluto, nel quale trova compimento la sua vicenda umana. 'Ragione' e 'coscienza', come indica la Dichiarazione, sono le facoltà costitutive della persona: una capacità di conoscere la verità delle cose e una capacità di orientare la bontà della vita, secondo la legge naturale, di cui la coscienza è l’inviolabile sacrario.

I Padri del Concilio diranno che «la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» ( Gaudium et spes, 16). La legge naturale, in quanto partecipazione della legge eterna, è criterio di eticità delle azioni e costituisce la norma fondativa dei diritti. E, come la persona trascende la società e lo Stato, così la legge naturale precede la legge positiva. Ed è in virtù della legge naturale che la legge positiva prende forma e si impone alla coscienza. Ma obbliga solo in quanto è intrinsecamente giusta e proviene da una autorità legittima, non perché sia lo Stato il fondamento della legge. Perciò, il primo diritto della persona umana è la libertà di coscienza e tutti gli altri diritti sono radicati nella naturale vocazione della persona alla libertà dello spirito.

Più volte, nella storia antica e moderna dell’umanità, la coscienza individuale e collettiva ha detto 'no' allo Stato e alle sue leggi ingiuste. Così, l’obiezione di coscienza si è definita come esercizio della libertà responsabile di preservare la relazione gerarchica tra la legge naturale e la legge positiva e di custodire la luce interiore del bene, rispetto ai tentativi esterni di oscurarne la valenza normativa.

Nella forma collettiva, si è configurata come disubbidienza civile, «atto di coscienza pubblico, non violento, e tuttavia politico, contrario alla legge, in genere compiuto con lo scopo di produrre un cambiamento nelle leggi o nelle politiche di governo» ( John Rawls). Il rifiuto di alcuni sindaci di applicare il cosiddetto decreto sicurezza (ovvero la legge 132 del 1 dicembre 2018) è stato etichettato dal ministro dell’Interno come atto di opposizione politica e, forse, gli stessi sindaci hanno finito per favorire questa riduttiva interpretazione. Ma non c’è dubbio che possa configurarsi come questione etica e legittima disubbidienza civile a una legge ritenuta ingiusta verso gli immigrati, già dal titolo che inserisce la regolazione del fenomeno migratorio nelle 'Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa'.

Ma, se per il Governo gialloverde gli immigrati sono dei potenziali delinquenti e rappresentano una minaccia alla sicurezza pubblica, per la Chiesa e per una vasta opinione pubblica (cattolica e non solo) sono persone, titolari di diritti quanto responsabili di doveri, fratelli nell’universale famiglia umana. «La Chiesa, che, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana» ( Gaudium et spes, 76).

Pedagogista, coordinatore nazionale di Agire Politicamente

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