sabato 31 gennaio 2015
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Il repentino slittamento della Grecia verso un’area che potremmo tranquillamente definire antagonista al pari di quella degli spagnoli di Podemos non deve stupire.Era nell’ordine delle cose da molto tempo, da quando il Programma di Salonicco stilato dal giovane leader Alexis Tsipras aveva messo in chiaro i punti cardine che il nuovo governo a guida Syriza-Anel avrebbe attuato. Fra questi, il blocco delle privatizzazioni, la richiesta di tagliare il debito e soprattutto la volontà di non collaborare con la troika costituita da Bce, Fondo Monetario Europeo e Commissione europea. Può sorprendere semmai la rapidità con cui il gabinetto Tsipras ha attuato i suoi propositi. Il secondo giorno di governo è stato annunciato il ripristino del salario minimo interprofessionale a 751 euro e la tredicesima mensilità per le pensioni più basse, ma soprattutto è stato decretato il blocco di numerose privatizzazioni, tra cui quella dell’Authority del Pireo, del porto di Salonicco e della Public Power Corporation, la principale società elettrica della Grecia. In pratica un vero proprio smantellamento delle riforme che il governo Samaras aveva concordato con la troika. Alla quale, giusto ieri, il neoministro delle Finanze Yanis Varoufakis, a conclusione dell’incontro con il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, ha fatto sapere che il suo governo non collaborerà più con la missione della Ue e del Fondo monetario internazionale che finanzia il Paese e non chiederà l’estensione del piano di salvataggio, cercando di convincere i partner a elaborare un nuovo accordo.L’Europa al momento abbozza, ribadendo – ma è una litania che giorno dopo giorno va perdendo smalto – che gli impegni presi vanno rispettati. Punta di lancia della piccata replica dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, per il quale «la Germania (non l’Europa, ndr) è difficile da ricattare».Ma in questo annunciato new deal in salsa greca, dove fa da padrona una studiata filibustering a livello di ministri comunitari, fa capolino un secondo forse più inquietante capitolo dell’antagonismo targato Atene. Ed è quello dei rapporti con la Russia. Giorni fa, alla vigilia delle annunciate nuove sanzioni nei confronti di Mosca a seguito del riaccendersi del conflitto nella zona del Donbass ucraino, si era sparsa la voce che Atene avrebbe potuto mettere il veto. Proposito immediatamente smentito, ma ciò non ha impedito all’autorevole Foreign Policy (bimestrale di proprietà del Washington Post fondato da Samuel P.Huntington) di titolare una lunga analisi sul voto ellenico «Why Putin Is the Big Winner in Greece’s Elections» (Perché è Putin il grande vincitore delle elezioni in Grecia). Sarà un caso, ma all’indomani delle elezioni il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha dichiarato che la Russia è disponibile a fornire aiuti finanziari alla Grecia.È presto per dire se l’Europa si ritrova davvero una spina nel fianco, una quinta colonna il cui cuore (come del resto accade all’intera area di antica osservanza ortodossa dei Balcani) batte in solidale sincronia con la Madre Russia. Ma non dimentichiamoci che non più tardi di un anno fa lo stesso Tsipras dichiarava che la Grecia sarebbe dovuta uscire dalla Nato, posizione oggi in parte ammorbidita («Non è nei nostri interessi uscire») pur senza proclami di fedeltà atlantica. E anche qui non c’è da stupirsi: pressocché l’intero stato maggiore di Syriza è di formazione comunista e il partito oggi al governo non nasconde il proprio appoggio ai secessionisti dell’Ucraina orientale ed è in forte disaccordo con l’inasprimento delle sanzioni europee verso Mosca.Di più: il neo ministro degli Esteri Nikos Kotzias è amico intimo del politologo ultranazionalista Aleksandr Dugin, forse il più ascoltato dei consiglieri di Vladimir Putin. E non trascuriamo Anel, il partito dei Greci Indipendenti alleato di governo con Tsipras: il suo leader Panos Kammenos (oggi ministro della Difesa) – a dispetto del proprio profilo conservatore – ha ottimi rapporti con la Russia. Sono tutti indizi, congetture, ma che fanno pensare. Anche al fatto che agitare lo spettro russo sia per Tsipras un modo di alzare il prezzo e di ottenere dilazioni sul debito e altre concessioni da parte dell’Europa. Sempre che, come riferiva due giorni fa il Wall Street Journal, l’Europa non prenda atto che la cosa migliore per tutti è lasciare che Atene esca dall’area dell’euro e vada incontro alle conseguenze che ne deriveranno. Una lezione per l’area dell’euroscetticismo antagonista che segretamente in molti sognano.
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