Il futuro dell'Europa in una triplice identità
sabato 9 marzo 2019

Le piazze europee ribollono. Mosse da motivazioni differenti, colme della stessa rabbia. In Francia, Spagna, Albania, Montenegro, Serbia, ma anche a Londra, dove si protesta contro la Brexit, e poi a Varsavia, Budapest, Bucarest, decine di migliaia di cittadini manifestano per e contro la restrizione dei diritti umani, diversamente preoccupati per il loro futuro. Stupisce che un quadro così chiaro di incertezza non venga colto nella sua drammaticità. Sempre e solo al centro delle attenzioni resta l’economia.

In Eurozona si vive in un assetto che è stato pensato e voluto dalla Germania, con il beneplacito della Francia, tutto incentrato di fatto sulla 'bund-centralità' e sull’idea di creare dei campioni franco-tedeschi. Un monumento all’isolazionismo, anche se Emmanuel Macron s’impegna per essere rassicurante sulle intenzioni dei due Paesi. Nell’Unione allargata, la crescita impetuosa in molti Paesi del-l’Est grazie ai fondi comunitari fa il paio oggi con alcune pericolose restrizioni democratiche. Il Patto di Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) di fatto si contrappone a quello di Aquisgrana (Germania e Francia). Il problema sociale è fuori da questi radar. I politici restano immobili, privi di ispirazione. Potrebbero, allora, rileggersi un formidabile discorso di Benedetto XVI al Reichstag nel 2011. In tempi di manifesti di ogni genere, si staglia per la sua lucidità. In quella sede, l’attuale Papa emerito ebbe modo di mettere a fuoco il rapporto tra potere, politica, ecologismo e legami tra Stati europei come mai nessun capo di Stato ha fatto negli ultimi anni. Tre i passi salienti, attualissimi. Le responsabilità storiche della Germania. Il ruolo del diritto e della maggioranza. La triplice radice dell’Europa unita.

Sul primo punto il pontefice filosofo fu netto, crudo. «La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. 'Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?', ha sentenziato una volta sant’Agostino. Noi tedeschi sappiamo per nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio». Un affondo incredibile, di cui si trovò scarsa traccia sui giornali tedeschi dell’epoca, quando già i più critici parlavano di Quarto Reich per definire le cure di austerity imposte alla Grecia. Quel discorso evocava ben altri spettri a Berlino.

Ma papa Ratzinger nell’affrontare il rapporto tra fede, giustizia e politica, fece anche un passo in più, delimitando i confini tra chi impone le decisioni e chi le applica, proprio quanto di cui si discute oggi quando si polemizza per l’applicazione del bail-in bancario, del Fiscal Compact o del ricollocamento dei richiedenti asilo. «In gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento». La maggioranza può sbagliare e non essere nel giusto, e deve comunque difendere anche le minoranze.

La condivisione comunitaria nasce perciò proprio dall’unione delle differenze, non dalla supremazia di uno sugli altri. Per papa Ratzinger, ma dovremmo dire per tutti noi, la via maestra è il patrimonio culturale dell’Europa, nato «dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma».

L’Unione che si affaccia alle prossime elezioni dovendo affrontare nodi fondamentali come l’accoglienza comune, la lotta al razzismo, la riduzione dell’esclusione sociale, sembra aver deliberatamente dimenticato le radici che ancora la tengono in piedi. Fondamenta in grado di sostenere quell’intima identità europea raccontata dal Papa tedesco ai suoi connazionali, che quei legami un tempo vollero annientare. Come qualcuno oggi.

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