sabato 17 gennaio 2015
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Le dichiarazioni di papa Francesco hanno colpito: quasi come… un pugno mediatico, verrebbe da dire. Egli ha affermato: non si può prendere in giro la religione di un altro, non va bene; ogni religione ha dignità e io non posso prenderla in giro; nella libertà di espressione ci sono limiti. Quasi rispondendogli, il ministro della giustizia francese Christiane Taubira ha dichiarato: la Francia è il Paese di Voltaire e dell’irriverenza; abbiamo il diritto di ironizzare su tutte le religioni. La riflessione si impone, stimolata da queste lapidarie dichiarazioni.Sgombriamo il campo da un equivoco: il «pugno» evocato dal Papa non era – ovviamente – un invito alla violenza da parte delle religioni offese. Il senso complessivo (se si ascolta tutto il discorso) era esattamente l’opposto: deridere le religioni è dare un pugno e provocare una reazione anche se sappiamo che «non si può reagire violentemente».Gli integralisti, i fondamentalisti, i violenti – come dimostrano le guerre di religione del passato – ci sono stati e ci sono ancora in tutti i campi: nel campo cristiano (non solo cattolico, ovviamente), nel campo islamico e nel campo ateo (comprendendo in tale espressione antiteismo, agnosticismo, antireligionismo e anticlericalismo). Gli esempi storici sono innumerevoli.Ma oggi, davanti ai tragici fatti di Parigi, possiamo cercare di individuare le basi fondamentali per un dialogo che abbia in vista il bene comune della civiltà europea? È evidente che ci deve essere un accordo di fondo condiviso, un “contratto sociale”. E una negoziazione democratica, in vista di libertà, uguaglianza e fraternità.I cristiani e gli atei chiedono agli islamici (sia chiaro: a tutti gli islamici, non solo ad alcuni, quasi si volesse dall’esterno dividerli) di condannare l’omicidio e la violenza, fatti in nome della religione, come “guerra di fede” o come difesa violenta dell’onore. L’uguaglianza (civile) tra gli esseri umani postula che nessuno abbia il diritto di uccidere un altro. E i terroristi di Parigi e in tutto il mondo non sono religiosi, ma barbari assassini.Gli atei chiedono ai cristiani e agli islamici di accettare la libertà di opinione, di espressione e di stampa. Chi rifiuta le religioni, chi le considera un male da superare, chi le ritiene responsabili di inoculare nel cuore umano il germe dell’intolleranza e perciò della violenza deve potersi esprimere: ne ha pieno diritto. La libertà (civile) postula che nessuno abbia il diritto di impedire all’altro di esprimere le proprie idee. I cristiani e gli islamici chiedono agli atei di rifiutare la derisione del sentimento religioso, di accettare, cioè, che non si può considerare un bene comune il ridicolizzare ciò che altri venerano, nel loro cuore, come sacro. La fraternità (civile) postula il rispetto dei sentimenti altrui in quanto avvertiti come essenza della propria personalità.Si può accettare che, in una seria e ponderata riflessione antireligiosa, l’argomentazione assuma la forma retorica dell’ironia. E altrettanto potrà fare l’argomentazione contraria e opposta a quella antireligiosa. Entrambe potranno liberamente esprimersi e, auspicabilmente, confrontarsi in modo aperto e leale, anche con socratica ironia. Ma che senso ha l’offesa gratuita e lo sprezzo derisorio del sentimento religioso altrui? Le barzellette blasfeme o le vignette pornografiche su Dio costruiscono solidarietà interculturale e interreligiosa? Sono segno di civiltà tollerante, così da proporle nelle scuole pubbliche, o sono segno di inciviltà intollerante così da non ammetterle nelle scuole e nello spazio pubblico?C’è al fondo la questione dell’uguaglianza in dignità personale. In Italia la Costituzione dice (art. 3) che tutti i cittadini non solo sono uguali davanti alla legge, ma hanno anche pari dignità sociale senza distinzione di sesso, di razza, di religione. Si può accettare che si ridicolizzi e si prenda in giro l’identità sessuale di una persona? E il colore della sua pelle? E la fede religiosa del suo cuore?
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