giovedì 22 gennaio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
La fantasia di Dio ci sorprende sempre e in ogni cosa. Dai fiori, agli animali; dagli uomini, agli angeli, alle stelle. La fantasia di Dio continua a sorprenderci anche nel Papa che guida la sua Chiesa. Chi avrebbe potuto prevedere, alla morte di san Giovanni Paolo II, un papa austero, timido, nobile come Benedetto? Eppure comprendemmo presto che era proprio il Timoniere che ci voleva dopo il ciclone buono del Papa polacco. Benedetto: un Pontefice che si è fatto amare per la dolcezza, la parola misurata, il coraggio. Oggi presente nella Chiesa come radice invisibile che tanta linfa dona all’Albero. Un Papa al quale vorremmo che arrivassero sempre la nostra riconoscenza e il nostro affetto. Dopo lo sconcerto e il dolore che provammo alla notizia della sua rinuncia al Soglio di Pietro, ricominciò l’attesa. Quante preghiere. Quanta preghiera. Il mondo cattolico, e non solo, stava con il fiato sospeso. 'Chi sarà il prossimo Pontefice? Da dove verrà?'. Fino a quando dalla loggia non si affacciò lui, Francesco, il vescovo venuto dalla fine del mondo.  «Buonasera», disse e divenne nostro. Nostro perché di Dio, di Cristo, della Chiesa. Nostro perché non più suo. Il popolo, forse prima degli ' esperti' di cose vaticane, capì quanto grande fosse il cuore di Francesco. E se ne innamorò. Il suo linguaggio era profondo eppure estemporaneo, immediato, ricco di gesti e di espressioni mimiche. Francesco divenne il parroco del mondo. Simpatico, la battuta facile, gioioso, ironico senza mai fare male a chicchessia. La fantasia di Dio ci sorprende sempre, anche coi Papi. Le chiacchierate con i giornalisti che lo accompagnano nei viaggi apostolici, sono a loro volta profonde eppure leggere, efficaci, comprensibili.  Anche se la tentazione di strumentalizzare (e tagliare a misura) le sue parole e la sua mimica in qualcuno è sempre in agguato, nessuna persona intelligente ha potuto pensare che il gesto del pugno dato a chi «insulta mia mamma» intendesse in qualche modo giustificare la violenza. Al contrario, era un accorato invito a una coraggiosa prudenza: libertà di stampa sì, ma rispetto per chi la pensa e crede diversamente da te. E il discorso sulla paternità responsabile? Nemmeno un parroco di campagna avrebbe mai pensato di potere osare tanto. La frase, che a qualcuno potrebbe non piacere: «Essere cattolico non vuol dire fare figli come conigli» ha avuto una risonanza mondiale ed è stata compresa da tutti i poveri di tutte le periferie del mondo. Occorre ammettere che a non usare un linguaggio chiaro e trasparente si rischia di soffrire e far soffrire. Diciamolo: a volte imbarazzati nel rispondere a qualche domanda scomoda, fingiamo di ignorarla. E invece no. I problemi vanno guardati in faccia e affrontati. I figli sono un dono di Dio. Immenso, stupendo dono che ci supera e ci trascende. Ma i figli-dono vengono affidati alle donne e agli uomini che debbono provvedere al loro mantenimento, alla loro educazione, al loro sviluppo. Si può volere bene a Gesù, ai propri cari e rimanere sereni nel tentare di non avere altri figli cui badare? Certo, ha detto il Papa. E in quel omento la pace è scesa nei cuori di tanti sinceri credenti tormentati e dei loro parroci. Attenzione, però: non ha inventato una dottrina nuova, Francesco, ma una nuova modalità di comunicare con i diretti interessati senza mediazioni.  Forse anche questo dobbiamo imparare dal Santo Padre: a farci capire. Alla sua scuola possiamo metterci tutti: preti, vescovi, giornalisti, scrittori, politici. A san Giovanni Bosco che per una sua omelia aveva definito san Pietro 'clavigero', mamma Margherita chiese: «Che vuol dire clavigero, Giovannì?» «Che ha le chiavi, mamma», rispose don Giovanni. «E allora dici così. Se non ho capito io, non penso che capiranno gli altri…». E quell’elogio delle lacrime che tanti poveri non cessano di versare anche per l’ingordigia e l’insensibilità dei ricchi e di cui a volte sono costretti a vergognarsi? Il Papa: «Una delle cose che si perde quando c’è troppo benessere, o i valori non si capiscono bene, o siamo abituati all’ingiustizia, a questa cultura dello scarto, è la capacità di piangere. È una grazia che dobbiamo chiedere». Chi di noi, poi, a una domanda complessa, difficile, insidiosa come quella sulla corruzione avrebbe risposto non con una teoria, ma con una testimonianza vissuta in prima persona? Nel 1994 gli viene offerta una grossa somma di denaro con la clausola di restituirne in nero la metà. Un imbroglio, dunque, forse per riciclare denaro sporco. «In quel momento, ho pensato cosa fare: o li insulto e gli do un calcio dove non batte il sole o faccio lo scemo…», ha raccontato il Papa. Altro che scemo, la risposta dice tutta la semplicità e la scaltrezza evangelica che il Signore richiede a chi lo segue. Ma non è finita. La lezione non vale solo per chi è fuori dalla Chiesa. Accorgendosi che il 'benefattore' restava meravigliato e intuendone il pensiero, il Papa aggiunge: «È una piaga nella Chiesa, ma ci sono tanti santi, e santi peccatori, ma non corrotti. Guardiamo all’altra parte, anche nella Chiesa santa». Ce n'è per tutti. Fuori e dentro la Chiesa. Chi ha orecchie per intendere, intenda. Noi vogliamo solo rendere grazie a Gesù per averci donato Francesco, un Papa che, nella sua evangelica semplicità, tanto gli somiglia.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: