Il difficile ritorno all’etica del lavoro
mercoledì 5 aprile 2017

Quasi in punta di piedi – e in un sostanziale silenzio delle comunità cristiane – si svolge il cammino preparatorio della Quarantottesima Settimana sociale dei cattolici (Cagliari, 26-29 ottobre prossimi). È un appuntamento di grande rilievo, perché riguarda un tema, come quello del lavoro ('Il lavoro che vogliamo - Libero, creativo, partecipativo, solidale') che rappresenta un vero e proprio nervo scoperto della società italiana: una società in cui non manca, in realtà, il lavoro, ma quel lavoro che molti vorrebbero e che invece non è e non può essere di tutti: un lavoro di breve durata, ben pagato, poco faticoso, con molti giorni di ferie, tranquillo e distensivo; quel lavoro al quale guardano – stando a numerose rilevazioni statistiche – le giovani generazioni, con i due 'modelli' maschili del cantante e del calciatore e femminili delle 'veline' e delle modelle…

Se queste rimangono le aspettative del lavoro di componenti non marginali delle nuove generazioni non è difficile comprendere come mai sia elevata la disoccupazione giovanile. Perché, dunque, si verifica una vera e propria fuga dal lavoro (salvo, ovviamente, quello poco faticoso, ben pagato, con molti giorni di ferie…) delle giovani generazioni? È una domanda, questa, alla quale è augurabile che la Settimana sociale di Cagliari presti un’adeguata attenzione.

Alla base di questa diffusa disaffezione per un lavoro che non sia ben retribuito e gratificante sta una vistosa caduta dell’etica del lavoro, che aveva conosciuto il suo grande 'ritorno', dopo una lunga stagione di oscuramento, con il Concilio Vaticano II. Le grandi pagine riferite a questo tema della Gaudium et Spes esaltavano il lavoro umano come partecipazione all’opera di Dio; indicavano nel lavoro il luogo fondamentale dell’umanizzazione della natura; vedevano nel lavoro un potente fattore di solidarietà e di fraternità. Si moltiplicarono, negli anni post-conciliari, gli studi dell’etica del lavoro (oggi diventati quasi marginali…), in un contesto di ripresa generale dell’economia sfociato, in quegli stessi anni, nel cosiddetto 'miracolo economico'.

Che cosa è rimasto della lezione conciliare? Quale posto ha nella vita concreta delle comunità cristiane da un lato l’educazione al lavoro e, dall’altro, la costruzione di un’etica, anzi di molteplici etiche professionali, in modo da consentire ai cristiani di vivere l’esperienza professionale con serietà e con responsabilità, qualunque sia il tipo di lavoro, perché, costruendo un mondo migliore attraverso la fatica degli uomini si anticipi e si avvicini il Regno di Dio?

Leggendo le malinconiche cronache che hanno come protagonisti i 'furbetti del cartellino' ci si deve domandare se quei disinvolti 'lavoratori' fossero tutti atei o agnostici…dove sono, dunque, i cristiani? Oltre un secolo addietro Charles Péguy (già allora!) lamentava la crisi del «lavoro ben fatto», dell’attaccamento all’opera delle mani della madre umile impagliatrice di sedie, che usciva da molte ore di pesante lavoro soddisfatta per avere creato un pur umile e semplice oggetto che tuttavia avrebbe allietato, con la sua nuda bellezza, la vita delle persone. Oggi, più che al «lavoro ben fatto», sembra si pensi soprattutto al lavoro poco faticoso e ben retribuito. Se questo atteggiamento prevarrà appare difficile la soluzione del problema della disoccupazione giovanile.

Ma almeno i credenti dovrebbero saper recuperare la 'sacralità' del lavoro - di ogni lavoro purché, si intende, degno dell’uomo e liberato da ogni forma di sfruttamento - al di là degli stereotipi della società dei consumi. È su questi temi che le comunità cristiane, a mio parere soprattutto nell’ambito della pastorale giovanile, dovrebbero riflettere nella prospettiva aperta dalla Settimana sociale di Cagliari.

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