sabato 21 gennaio 2017
Siccità al Nord, bombe di neve al Sud. È tempo di dire addio alla stagione del fatalismo e investire dove serve: nuove tecniche di costruzione, reti idriche e fognarie, vasche di accumulo
Il clima sta cambiando adattarsi è un imperativo
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Recentemente, il Guardian ha promosso una non stop di 24 ore sui cambiamenti climatici per ricordare un’emergenza che 'non fa più notizia'. Può sembrare grottesco, addirittura di cattivo gusto di fronte alla tragedia di Rigopiano; eppure l’atteggiamento che abbiamo avuto finora, un po’ tutti, di fronte all’emergenza gelo dell’Italia centrale non è diverso da quello del pensionato teatino che è diventato il tormentone dei social network spiegando che in Abruzzo la neve 'l’ha sempre fatta' e che la soluzione è shteteve a la cas’ , cioè statevene a casa. Questo atteggiamento rischia di produrre delle conseguenze gravissime, anzi le ha già prodotte, come dimostra il ritardo con cui la Regione ha chiesto lo stato d’emergenza solo dopo settimane di allarme neve, centinaia di comuni isolati e centomila cittadini al buio. Un fatalismo immotivato, che però ha contagiato l’intera comunità nazionale, impreparata a governare il territorio in cui vive e beatamente disinteressata delle conseguenze, fintanto che non è stata risvegliata da un violento terremoto e dall’ennesima tragedia.

Giampiero Maracchi, climatologo e presidente dell’Accademia dei Georgofili, ripete da tempo che «il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti e ci impone un cambiamento di mentalità, di abitudini e anche di governo del territorio. È vero che nevica da sempre e non è cambiata la quantità di precipitazioni, ma è cambiata – e di molto – la loro distribuzione nel tempo». Fino a qualche tempo fa si parlava di tropicalizzazione: «La quantità annua di pioggia, anche sotto forma di neve, resta tra i 700 e i 900 millimetri, con le ovvie differenze regionali, ma l’intensità nel ventennio è cresciuta del 900% , rispetto agli anni Sessanta, e questo vuole dire – spiega Maracchi – che singoli eventi scaricano quantità di acqua che il suolo italiano, tendenzialmente argilloso, non riesce a trattenere, dal momento che la capacità di infiltrazione dei terreni si aggira intorno ai 2-3 millimetri all’ora. Insomma, una gran massa di risorsa idrica cade e corre verso il basso, si disperde, torna in mare e soprattutto non va a ricaricare la falda freatica e non percola lentamente, come avveniva in passato, quando le precipitazioni autunnali alimentavano laghi e bacini imbriferi».

Agli esperti non fanno un grande effetto i metri di neve caduta nei giorni scorsi tra l’Abruzzo e il Molise e paiono più interessati a quella che non è caduta in autunno. Da secoli, tra ottobre e novembre, Alpi e Appennini 'ricaricano' in quel periodo i loro nevai; fino a quando, cioè da una trentina d’anni, l’irregolarità delle precipitazioni e il riscaldamento globale non hanno iniziato a intaccare anche i ghiacciai. Il geologo Franco Secchieri, consulente del Ministero dell’Ambiente, li studia da decenni e definisce 'drammatica' la situazione delle Dolomiti: «Il ghiacciaio della Marmolada sta esaurendosi – ci dichiara – e la siccità della prossima estate sarà verosimilmente ricordata come una delle peggiori della storia recente».

Nell’area pedemontana (soprattutto veneta) manca la risorsa idrica necessaria a rimpinguare la falda profonda e i fiumi sono già in affanno, perché le deboli nevicate autunnali non sono bastate ad immagazzinare acqua sotto forma di neve sulle Alpi. Colpa dell’effetto serra? «I negazionisti potrebbero obiettare che le correnti atmosferiche stanno cambiando, com’è sempre avvenuto – risponde Secchieri –, e che ci sono state altre fasi di cambiamento climatico nel passato, come la piccola era glaciale del 15001850 o il grande freddo del 1960-1985, ma è un dato di fatto che le curve che descrivono l’incremento della popolazione, dell’anidride carbonica e della temperatura procedono parallele».

Che ci sia qualcosa di strano nell’inverno del 2016 lo certificano anche i custodi dell’acqua. L’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi), ieri, ha evidenziato le contraddizioni di un clima che ha esiti alluvionali in alcune aree del Centro Italia e siccitosi in tutte le altre, con il paradosso che in Abruzzo si combatte sotto metri di neve mentre in Liguria e Lombardia è addirittura emergenza incendi. In Veneto, del resto, le precipitazioni nell’ultimo mese sono calate del 97% e tutti i fiumi sono vicini ai minimi storici, ad eccezione del Po, che sta ricevendo gli ultimi lasciti dei nevai alpini. «La situazione è preoccupante, ma non ancora grave – ha commentato Francesco Vincenzi, Presidente Anbi –, perché attualmente la campagna riposa e c’è ancora tempo, affinché le riserve idriche si arricchiscano. Certo, ci troviamo davanti al ripetersi di condizioni climatiche finora inconsuete, di cui dobbiamo prendere atto, perseguendo il diffondersi di una cultura del risparmio e della massima efficienza nell’utilizzo dell’acqua, denominatore comune del nuovo Piano Irriguo Nazionale, che è in avvio».

L'Anbi descrive 'bombe di neve', che cadono copiosamente su un territorio limitato, creando danni e disagi, senza apportare dei reali benefici idrici. Servirebbero nevicate montane nel periodo giusto, che invece sono carenti, e servirebbe soprattutto un rapido aggiornamento di mentalità e infrastrutture. Il cambiamento del clima, infatti, a prescindere dalle sue cause remote, può (e deve) essere fronteggiato proprio abbandonando l’italico fatalismo racchiuso nella formula teatina shteteve a la cas’. Non basta stare a casa – anzi, bisogna uscirne – se la casa è stata costruita per reggere un carico di neve molto inferiore all’intensità delle precipitazioni nevose che si registra in questa fase storica. I calcoli di ingegneri e architetti devono essere rivisti in base al nuovo corso meteorologico; analogamente, la rete idrica e quella fognaria delle nostre città non sono dimensionate, come ha dimostrato il caso di Genova, per reggere piogge 'tropicali'.

Quanto alla campagna, affrontare una carenza idrica strutturale significa disporre di invasi che trattengano l’acqua e la rilascino nel momento del bisogno. A conferma della gravità della situazione di siccità anche nelle aree che oggi sono sommerse dalla neve, il maggior numero di progetti presentati finora interessa proprio l’Abruzzo, dove è stata richiesta la sistemazione della diga sul Trigno e quella di Penne. Eppoi c’è la Puglia (sbarramento sul Fortore) e la Calabria (vasca di accumulo a Caulonia). Tutte regioni dalla sete antica, anche se l’emergenza riguarda anche il Nord, con interventi programmati in Polesine, nel Piacentino e in Piemonte. In altre parole, il cambiamento climatico che ci sta investendo è un’emergenza nazionale alla quale non ci si può sottrarre ma che si può fronteggiare, ad esempio con il Piano Irriguo Nazionale (300 milioni), i cui bandi saranno emanati entro febbraio.

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