martedì 1 giugno 2010
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Questa volta anche Ginettaccio Bartali da lassù sorride, pensa che il Giro sia tornato grande e che «non l’è tutto da rifare». Ivan Basso con orgoglio e dignità si è ripreso in mano una vita da uomo “pulito”, ancor prima che l’immagine del “fenomeno” sportivo che entra all’Arena di Verona come Vasco Rossi e riaccende i falò della vanità mediatica. Ma attenzione ai riflettori accecanti del successo: come Ivan non era il “terribile”, il ciclista non più esemplare, quando quattro anni fa era caduto nelle segrete buie del doping (il sacchetto del suo sangue per l’autoemotrasfusione ritrovato nel laboratorio del famelico dottor Fuentes gli costò 2 anni di squalifica), oggi non deve diventare il “santo” che ha resuscitato il Giro.Perché di santi nel ciclismo, come nello sport moderno tutto, non se ne sono mai visti. Neppure quando si correva solo per rabbia e per amore questo sport è stato immune dallo spettro delle “bombe”. Poi moltiplicandosi le ammiraglie, gli sponsor e le tv all’inseguimento del gruppo, ecco che sono aumentate anche le dosi quotidiane degli “aiutini” da assumere: i beveroni di Cavanna a un certo punto sono diventate le flebo variopinte e misteriose attaccate brutalmente alle vene dei corridori. Dal tragico stop imposto a Marco Pantani a Madonna di Campiglio (1999) fino a ieri, a tagliare per primo il traguardo è stato sempre il sospetto. Il chiodo fisso che ha forato il copertone delle nostre fantasie di appassionati era: ma vince perché è un campione, oppure perché è dopato? Senza andare troppo lontani nel tempo, quando quel 30 giugno del 2006 Basso venne fermato, gli impedirono di partecipare al Tour, così all’Arco di Trionfo arrivò primo Floyd Landis, ma l’americano venne trovato positivo all’antidoping e la vittoria passò a Oscar Pereiro Sio. Delle imprese leggendarie dell’altro “cannibale” americano Lance Armstrong (7 tour vinti in carriera), abbiamo saputo molto dopo che non fu tutta vera gloria e che a spingerlo sempre più in alto lassù all’Izoard erano i farmaci di ultima generazione somministratigli da qualche scienziato pazzo.Il ciclismo, come il calcio secondo le denunce di Zeman, «è finito in farmacia». Assuefatto e dipendente dalle sostanze illecite, è vissuto nell’ultimo decennio nella menzogna e nell’offensiva retroattività. Titoli conquistati e poi contestati per essere poi vergognosamente tolti. Pagine di storia stracciate e il ritratto del campione, l’idolo indiscusso e amato dalle folle, che appena sceso dalla sella diventava l’appestato, il “mostro” da sbattere in prima pagina. Dopo le morti misteriose e anche l’ultimo dei gregari trovato con le mani nella “marmellata”, densa come il sangue avvelenato dall’Epo, il ciclismo, rispetto ad altri sport molto più ricchi e visibili, ha deciso di tirare la linea e di fare pulizia. Così, nonostante le valanghe di fango degli innumerevoli scandali in cui è stato sepolto, è sopravvissuto, ma per ripulire le facce dei suoi eroi ha dovuto percorrere le strade del “terrorismo”: controlli antidoping a sorpresa, settimanali e incrociati (urine e sangue) sugli atleti. Uno stato rigido, di polizia, grazie al quale però lo stesso Basso è riuscito a rientrare nei tracciati regolari e a tornare dopo una lunga salita al punto di partenza di quattro anni fa. Per questa sua seconda vittoria al Giro, con lui può alzare le braccia al cielo tutto il movimento e un intero Paese che non ha più niente da nascondere e non c’è più nulla di cui si deve vergognare.L’Italia ha vinto il suo Giro con Basso, ma la prossima tappa sarà far tenere la maglia rosa della trasparenza anche all’ultimo dei dilettanti e far capire a tutti che è solo il ciclismo (lo sport) pulito quello che riaccende la fantasia e la passione popolare.
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