lunedì 13 luglio 2015
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Ma chi vincerà, alla fine, se vincerà qualcuno? Vincerà Alexis Tsipras con la sua ondivaga – ma a quanto si capisce lucidissima – strategia destabilizzante indicendo un referendum sopra un accordo già superato e legittimandosi con un voto plebiscitario salvo poi far cadere la testa dell’ormai impresentabile ministro Varoufakis? O vincerà l’Unione Europea, che ha tenuto ferma la barra del rigore concedendo e dilazionando, ma senza intaccare il "sacro" principio secondo il quale i debiti si onorano e non si tagliano? O vinceranno i greci, con quella mescolanza di orgoglio e di buon senso, di paura e di dignità, capaci di resistere per cinque anni a una lenta deriva economica che è poi diventata un allarme sociale e infine un disastro collettivo sul piano sociale e assistenziale, con una sanità allo stremo, una disoccupazione a livelli impensabili per una democrazia moderna e una classe dirigente – quella espressa dal Pasok e poi da Nea Demokratia – a tal punto iniqua da aver spinto un elettorato esausto a saltare per disperazione sul carro di un cartello della sinistra radicale nel quale trovavano posto arrugginite ideologie vetero-marxiste assieme a spinte centrifughe anti-euro? Nelle ultime ore l’esito di quella che, a tutti gli effetti, è ancora una trattativa aperta si è fatto comunque più incerto per l’ipotesi fatta balenare dalla rigida Germania di escludere per 5 anni la Grecia dall’euro, in attesa di una sistemazione del debito. Ipotesi bocciata però come impraticabile da altri Paesi più dialoganti. In ogni caso, auspicando che la vicenda possa concludersi oggi con il summit dei capi di Stato e di governo a Bruxelles, possiamo rimarcare almeno due fatti. Il primo riguarda Syriza. Il voto di venerdì che ha dato pieno mandato all’esecutivo per trattare con l’Eurogruppo ha visto 251 voti a favore su 300. L’identikit cioè di un governo delle larghe intese che ha radunato attorno a Tsipras quel che resta del Pasok, ma soprattutto il gruppone compatto di Nea Demokratia. È presto per dirlo con certezza, ma è molto probabile che la parabola del monocolore targato Syriza (cui si deve aggiungere il minuscolo alleato conservatore Anel che gli ha consentito finora di avere una maggioranza) sia già giunta alla fase discendente. Non sfugga l’assenza dal voto dell’ex ministro Varoufakis, in silenzioso ma plateale dissenso e assai verosimilmente pronto a capeggiare una fronda interna al partito i cui segnali si coglievano con evidenza già da un paio di settimane. La seconda significativa circostanza è l’acrobatica mutazione del premier. Abile nel far digerire ai greci attraverso un referendum un piano in "salsa francese" che stando alle nude cifre (eliminazione delle pensioni baby, progressivo innalzamento dell’età pensionabile, innalzamento dell’Iva, stop alle agevolazioni fiscali a favore di agricoltori e armatori e nessun haircut sul debito, ma soprattutto una recessione del 4% e una resa plateale di fronte alla Troika che aveva giurato di abbattere) è più oneroso di quello che aveva respinto una settimana fa, ancor più abile nel ricompattare Syriza, nonostante gli squilli di rivolta, Tsipras sembra volersi rimodulare come leader di una sinistra più aperta ad alleanze e disposta a mettere da parte le ali intransigenti e radicali. Non sarebbe la prima volta che un uomo politico nasce incendiario e finisce pompiere. In conclusione, non riusciamo a intravvedere in questa lunga e tormentata allegoria della tragedia greca un vero vincitore, essendo tutti quanti, protagonisti, deuteragonisti, comprimari e il coro stesso incarnazioni di una somma di egoismi, testardaggini, abbagli e balordaggini che, pallottoliere alla mano, ci confermano che la crisi greca poteva essere contenuta e risolta con minor spesa e soprattutto senza fare strame del tessuto sociale di un intero popolo già cinque anni fa. A dire il vero un possibile vincitore, sebbene tardivo e quasi fuori tempo massimo, potrebbe ancora esserci, ed è Angela Merkel. Per mesi la Bundeskanzlerin ha prima condiviso i diktat e poi ha finito per incrociare le lame con i fanatici del rigorismo europeo, penalizzata anche dalla sua stessa miopia, che a lungo le ha impedito di riconoscere il problema greco per quello che realmente era, ossia una questione geopolitica prima ancora che finanziaria, capace di destabilizzare l’Europa e la stessa Unione Europea. Solo lei a questo punto può chiudere il cerchio della discordia e scongiurare il pericolo di essere ricordata – si veda la corrosiva copertina di "Der Spiegel" che la raffigura fra le rovine di un tempio greco – come Die Trümmernfrau, ovvero, la Signora delle macerie. Una tentazione che sembra accompagnare i tedeschi – più il ministro Schaeuble che il cancelliere, a quanto pare – fino all’ultimo minuto di questa partita infinita.
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