mercoledì 6 luglio 2022
Un viaggio nelle strutture simbolo della rinascita civile e sociale dei territori
A Polistena, nella Piana di Gioia Tauro, un palazzo di cinque piani che è stato per anni il centro di un potere mafioso, oggi è pieno di vita e di attività. «Il sogno è diventato segno». Nella foto la "casa dei giovani", intitolata a don Pino Puglisi, a Polistena.

A Polistena, nella Piana di Gioia Tauro, un palazzo di cinque piani che è stato per anni il centro di un potere mafioso, oggi è pieno di vita e di attività. «Il sogno è diventato segno». Nella foto la "casa dei giovani", intitolata a don Pino Puglisi, a Polistena.

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Nei paesi di mafia il palazzo più alto, quello più imponente è quello del clan. Nessuno si può azzardare a costruirne uno più alto o imponente, perché quello è il simbolo del potere mafioso, della forza della mafia. Così era anche a Polistena, grosso centro della Piana di Gioia Tauro. Era per tutti 'il palazzo Versace' dal nome della famiglia ndranghetista dominante sul territorio. Oggi è sempre un simbolo ma opposto. Confiscato alla cosca, assegnato alla parrocchia di Santa Marina Vergine, la Chiesa Matrice del paese, è diventato la 'casa dei giovani', intitolata a don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia. Simbolo di speranza e di riscatto.

Ma torniamo indietro, al palazzo al n.43 di via Catena, cinque piani all’ingresso del paese, nel quartiere della Catena, quello più problematico, feudo di gruppi mafiosi. Lì ci sono le loro case e il 'palazzo' era come il loro castello. C’era il 'Bar 2001', battezzato così negli anni 80, nome pretenzioso, di una cosca che diceva 'Siamo noi il futuro', poi diventato 'Au petit bijou'. Malgrado il nome delicato era luogo di incontri e di affari, per i mafiosi e i loro alleati, ma purtroppo anche di tanti giovani. Al primo piano gli enormi saloni per le feste di matrimonio. Si ricordano quelle lussuose di qualche rampollo della cosca. C’era la fila fin sulla strada per consegnare la 'busta'. Quel 'regalo' che tutti erano obbligati a portare. Non meno di 100 euro. Una sorta di assicurazione. Ma quei saloni erano scelti anche da tante coppie e famiglie 'normali' per le loro feste, 'perché così si doveva fare'. E non sembri strano. Nei piani superiori del 'palazzo' c’era addirittura l’Istituto magistrale, che pagava l’affitto alla cosca, fino a quando il parroco don Pino Demasi e il preside Gigi Marafioti ottennero il trasferimento che, però, dopo inspiegabili ritardi, avvenne solo dopo una singolare protesta delle lezioni in piazza.

Luogo di potere ma anche di sangue. Come quella che ancora oggi viene ricordata come 'la strage del bar 2001'. La sera del 17 settembre 1991, quattro auto bloccano via Catena. Davanti al palazzone scendono 16 uomini, sono i killer delle potentissime cosche della Piana di Gioia Tauro. Una vera azione di guerra. Indisturbata. Vengono sparati 780 colpi. Bersaglio sono i tre fratelli Versace, che a colpi di violenza avevano provato ad espandere il proprio potere verso la costa. Ma violenza chiama violenza. Così vengono uccisi due fratelli, mentre un terzo si salva ferito sotto un’auto. La sera del 15 settembre 2015, quasi 24 anni dopo, via Catena è nuovamente bloccata, ma questa volta per una grande festa di rinascita, l’inaugurazione della 'casa dei giovani' dedicata a don Puglisi. Davvero si cambia. A cominciare dai nuovi colori allegri del palazzo prima grigio e triste (e anche vandalizzato dopo la confisca) e con la massima trasparenza: ampie vetrate per far vedere anche da fuori le attività che si svolgono «l’esatto contrario di quello che fa la ’ndrangheta », sottolinea il parroco. Gli ampi ambienti sono pieni del vociare di bambini e ragazzi. E poi attività sportiva nella grande piazza davanti al palazzo. Da anni dedicata a Giuseppe Valarioti, insegnante e segretario del Pci di Rosarno, ucciso nel 1980 dal clan Pesce la sera della vittoria alle elezioni comunali, il suo nome nella piazza non era mai comparso. Ora il cartello c’è: 'Piazza Giuseppe Valarioti, vittima della mafia'. Don Pino ricorda «la promessa che in un caldo pomeriggio di luglio nella piazza io avevo fatto ai ragazzi che questa casa sarebbe stata un giorno la loro casa». E così è stato. «Il sogno si fa segno – ripete don Pino –. Il sogno di una Calabria diversa, libera dalle mafie, luogo di condivisione e di maggiore giustizia». E con fatti concreti.

Per tutti era 'il palazzo Versace', dal nome della famiglia ndranghetista dominante sul territorio. Oggi è sempre un simbolo,
ma opposto. C’è anche un ostello gestito da una coop sociale nata su iniziativa della diocesi di Oppido-Palmi e di Libera, con il sostegno del Progetto Policoro

«Cambiare per restare, restare per cambiare», era il vecchio slogan dei primi gruppi giovanili parrocchiali. Sempre valido. Partendo dalle famiglie di questo quartiere difficile, che, ovviamente, non sono tutte mafiose. Un progetto resto possibile grazie al sostegno di tanti compagni di 'sogno', come Fondazione con il Sud, Enel cuore onlus, Il cuore si scioglie di Unicoop Firenze. «Nella zona dove sorge il palazzo – spiega don Pino, che è anche referente di 'Libera' per la Piana di Gioia Tauro – mancano centri di aggregazione per i giovani. L’unico punto di incontro, oltre alla strada, era proprio il 'bar 2001', con tutti gli aspetti negativi che ne conseguivano ». Oggi il palazzo è frequentato ogni giorno da un centinaio di giovani. A pianterreno c’è il centro di aggregazione per minori intitolato al preside Marafioti. Si svolgono attività di sostegno scolastico e laboratori per i bambini della scuola dell’obbligo, molti gli stranieri. Tutto è coloratissimo e modulare. Vi operano sei ragazzi del Servizio civile della parrocchia. E da qui parte anche il servizio di strada, per andare a incontrare i giovani del quartiere. Al primo piano c’è il centro di aggregazione giovanile per i più grandi, «con responsabilizzazione individuale », ci spiega don Pino. C’è la sala computer che durante il lockdown è stata molto utilizzata per la Dad. E un grande salone per eventi culturali. Il secondo piano ospita l’ambulatorio per immigrati di Emergency, un servizio prezioso per un territorio come la Piana di Gioia Tauro, dove la presenza dei braccianti immigrati è molto forte.

Al terzo piano c’è la sede del Lions Club e una completa sala di incisione, per chi vuole sviluppare la sua passione musicale. Il quarto piano è dedicato alla biblioteca e all’archivio, ma soprattutto a un vero e proprio 'hub di quartiere', con connessione internet e wifi. Un’area molto tranquilla, che viene usata anche per lo smart working. L’altra ala del palazzo ospita al secondo e al terzo piano l’ostello 'Gianni Laruffa', intitolato all’imprenditore fondatore dell’antiracket di Polistena. Ci sono 48 posti letto, con bagni e cucina comune per ogni piano. A gestirlo è la cooperativa sociale 'Valle del Marro' nata nel 2005 su iniziativa della diocesi di Oppido-Palmi e di Libera, con il sostegno del Progetto Policoro della Cei, per coltivare terreni confiscati nella Piana di Gioia Tauro. Cooperativa costituita da ragazzi, molti scout, che frequentavano la parrocchia. L’ostello, come ci spiega uno di loro, il presidente Domenico Fazzari, «è nato nel 2015 e da allora ha ospitato più di 2mila persone che vengono da tutta l’Italia e che partecipano ai campi di lavoro sui terreni confiscati, scuole e associazioni che partecipano ai nostri progetti di educazione alla legalità».

E proprio a questa attività è dedicato il primo piano con una grande sala per incontri e 'cene della legalità'. Il quinto piano, con una grande terrazza panoramica da dove i mafiosi dominavano il paese, ora ospita mostre e altre iniziative culturali. Ma presto sarò realizzato anche un forno, concretizzando anche il sogno del presidente di Fondazione con il Sud, Carlo Borgomeo, in occasione dell’inaugurazione del centro di aggregazione giovanile. «Per la vittoria definitiva – aveva detto – voglio mangiare una pizza sul terrazzo». Ormai ci siamo ma la vittoria è già tutta dentro questo palazzo. «Ora è perfettamente integrato nel quartiere e questo è davvero una vittoria, la scommessa è stata vinta», commenta ancora don Pino citando don Tonino Bello: «Dai segni del potere al potere dei segni». (1 - continua)


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