Il carcere cambia se c'è una società civile sveglia
sabato 25 giugno 2022

Caro direttore,

attenzioni e preoccupazioni in questi tempi sono massimamente (e giustamente), dedicate alla guerra che si combatte in Ucraina, alle sue terrificanti conseguenze. La metafora di John Donne, i rintocchi della famosa campana che suonano per tutti e ciascuno, assume il suo valore più pieno e pregnante. Non bastasse, altre tragedie meno eclatanti dal punto di vista mediatico, ma egualmente dolorose, 'fabbriche' di sofferenza, si consumano nel silenzio e spesso, purtroppo, tra l’indifferenza di tanti. Sono echi che trovo nella 'Lettera a chi lavora nelle Istituzioni' del cardinale Matteo Zuppi, pubblicata il 2 giugno scorso su 'Avvenire'. Lettera (e lettura) preziosa per tutti, in particolare per il ripetuto e costante richiamo alla Costituzione e ai suoi valori.

Tra il tanto che «non si vede» (e che non è sufficientemente illuminato), c’è quello che accade nei bracci delle carceri: i detenuti, ma non solo loro. La più generale comunità penitenziaria è nel concreto reclusa al pari dei condannati. E proprio Zuppi, recentemente, ha cercato di scuoterci dall’indifferenza e dall’apatia verso questi 'ultimi'. Lo ha fatto in occasione della presentazione del libro sulla figura di Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere napoletano di Poggioreale un eroe 'oscuro'. Bisogna fare un salto indietro di 42 anni: nel 1980 Salvia si scontra con il capo della Nco (Nuova camorra organizzata), Raffaele Cutolo: al rientro da un’udienza in un processo, il boss di Ottaviano non vuole essere perquisito, come da regolamento. Gli agenti penitenziari non osano, temono vendette. Il vicedirettore perquisisce personalmente Cutolo che reagisce cercando di prenderlo a schiaffi. La vendetta arriva il 14 aprile 1981: Salvia viene ucciso in un agguato sulla tangenziale di Napoli.

Per Zuppi è stata l’occasione per sviluppare una riflessione sul carcere e la sua funzione: «Umanità e carcere possono e devono andare d’accordo senza alcun compromesso. Anzi l’una aiuta l’altro in modo vicendevole». Da queste parole si comprende quale orientamento pastorale continueranno a guidare pensiero e azione del presidente della Cei per quel che riguarda il mondo penitenziario: «Le carceri dove non c’è niente, ma solo reclusione e contenimento, fanno uscire le persone peggiori di come ne sono entrate». E se è vero che devono cambiare le persone, è altrettanto vero che devono cambiare i penitenziari: «Le carceri cambiano se intorno a essi c’è una società civile sveglia. E tanto spesso è il mondo intorno che permette al carcere di migliorare». Volontariato e lavoro rappresentano cardini fondamentali sui cui si deve innestare un processo di cambiamento. Come i lettori di questo giornale sanno bene, non mancano esempi virtuosi di aziende che all’interno delle carceri danno lavoro ai detenuti, creano manufatti artigianali, prodotti dolciari e quant’altro: realtà che devono moltiplicarsi e possono scandire un altro ritmo alla vita quotidiana di chi è recluso. Poi, i volontari: ascoltano drammi e speranze di chi ha commesso errori, lo sostengono nei momenti difficili, senza giudicare.

Zuppi denuncia indifferenza e insensibilità 'giustizialista' per questo mondo marginale che interessa a pochi:«Si butta via la chiave, pensando di risolvere così i problemi della sicurezza. E questo è pericoloso per tutti perché così dal carcere si esce peggiori». Ci si deve piuttosto interrogare sulla trasformazione delle logiche e dei metodi delle mafie; comprendere i tratti delle connivenze, e così individuare gli strumenti per combatterli. Giustizia riparativa, funzione rieducativa della pena, trattamento più umano per tutti, nessuno escluso, sono le domande aperte su cui il presidente della Cei e la Chiesa si interrogano e interrogano.

Credo che questo indichi una strada, un percorso, per credenti di ogni credenza e per inossidabili laici. Un terreno di comune impegno, che dovrebbe realizzarsi in una concreta unione-comunione di intenti. In passato mondo radicale e mondo cattolico l’hanno trovata contro lo sterminio per fame nel mondo: Giovanni Paolo II e Marco Pannella si trovarono parlare su questo uno stesso linguaggio. Perché quel miracolo non si dovrebbe e potrebbe ripetere, per quel che riguarda le carceri? Sono certo la porta del cardinale Zuppi è già spalancata.

Direttore di 'Proposta Radicale'

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