mercoledì 24 aprile 2019
I robot creeranno più posti di lavoro di quelli che andranno distrutti
Un robot rilevatore di esplosivi in azione (Ansa)

Un robot rilevatore di esplosivi in azione (Ansa)

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Il futuro e il progresso tecnologico fanno celermente scomparire i mestieri a noi familiari e incutono timore soprattutto nei lavoratori meno qualificati e specializzati. Una volta esistevano i lattai che portavano le bottiglie di latte fresco a casa mancando i frigoriferi, centraliniste che connettevano fisicamente i telefoni, lampionai che accendevano e spegnevano le luci a gas. Oggi è difficile sentire la mancanza di questi impieghi, sostituiti da nuove occupazioni spesso di maggior valore. Ci aspettiamo lo stesso trend nel domani: secondo alcune previsioni, il 65% dei bambini che oggi iniziano la scuola primaria farà un lavoro che oggi non esiste.

Nel progresso tecnologico della quarta rivoluzione industriale sembra però esserci qualcosa di differente. È notizia di questi giorni che in Estonia i giudici verranno sostituiti da un algoritmo, almeno per le cause civili fino a 7.000 euro. Per ora è solo un esperimento ma è anche l’ennesimo segnale che questa rivoluzione tecnologica non insidia più solo lavori a bassa qualifica, ripetitivi e meccanici, ma anche professioni di concetto. Nonostante tutto ciò, anche in questo caso il progresso tecnologico sembra cancellare alcuni lavori ma non diminuire il lavoro in generale. Negli ultimi 15 anni la forza lavoro è aumentata, secondo i dati dell’International Labour Office, di circa 600 milioni di persone, il tasso di disoccupazione mondiale è rimasto stabile e il tasso di partecipazione è calato solo di poco. Nel complesso, dunque, l’economia mondiale ha creato mezzo miliardo di posti di lavoro. E anche le previsioni per il futuro degli enti più accreditati non sono funeste. Secondo il Word Economic Forum, metà delle attuali mansioni lavorative sarà eseguito da macchine entro il 2025. Non si tratta solo di attività manuali eseguite dai robot, o di servizi automatizzabili svolti dai software. Entro tre anni potrebbero sparire 75 milioni di posti di lavoro sostituiti da processi automatizzati ma, nel contempo, si potrebbero creare 133 milioni di nuove occupazioni, ovviamente con profili completamente diversi rispetto al passato. Secondo la Gartner, entro il 2020 l’intelligenza artificiale distruggerà 1,8 milioni di posti di lavoro ma ne creerà 2,5 milioni di nuovi regalando alle persone nuove occasioni. Con la tecnologia 5G, potremo interagire con persone lontane percependole nella stessa nostra stanza come nei film di fantascienza. E questo renderà realizzabile una nuova gamma di servizi ed attività che adesso non riusciamo ad immaginare. Il meccanismo per il quale, a fronte dei posti di lavoro che si distruggono, se ne creano di più, è sempre lo stesso ma spesso sfugge ai più. Il progresso tecnologico aumenta la creazione di valore economica aggregata. E dunque la domanda che si riversa su nuovi bisogni e nuovi servizi generalmente più immateriali e complessi e in molti casi ecologicamente più sostenibili perché di natura culturale. La crescita del valore creato dipende dal fatto che l’evoluzione della tecnologia ci mette a disposizione macchine più sofisticate che surclassano la nostra produttività antecedente alla loro creazione ma che ci consentono, adesso, una produttività molto superiore. Le nuove macchine evolute con cui possiamo fare cose molto più complesse diventano un piedistallo più alto da cui raggiungere nuove vette. Proprio a questo proposito la Gartner ha coniato l’immagine suggestiva della 'centaur intelligence', ovvero di lavoratori metà umani e metà macchine che useranno le doti uniche del nostro genere (creatività, curiosità, compassione) innestandole sulla potenza e velocità delle macchine di usare dati e informazioni. Per fare solo un esempio, la creatività e la produttività degli scienziati e degli studiosi oggi non è neanche lontanamente paragonabile a quella del passato perché la velocità di circolazione delle idee è di molto aumentata e gli strumenti che usiamo per fare ricerca (dai software computazionali e matematici agli strumenti di ricerca sullo stato dell’arte della letteratura in materia) sono enormemente più potenti.

Più che avere una paura del futuro che ci attende, dobbiamo soprattutto preoccuparci di costruire e rinforzare meccanismi redistributivi che trasformano i vantaggi dei pochi leader delle nuove tecnologie in benefici per i più, e quindi in una spinta formidabile alla domanda. E su questo snodo decisivo del nostro sistema economico che si gioca la partita più importante del nostro futuro.

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