Il Papa su sviluppo, biodiversità e convivenza
martedì 10 settembre 2019

Quattro linee, coi conseguenti nodi, si sono alternate e intrecciate, quasi come 'convergenze parallele', in questo trentunesimo viaggio internazionale di papa Francesco, che torna oggi a Roma dopo giorni intensi divisi tra Mozambico, Madagascar e Mauritius. La linea degli appelli ai governanti, affinché promuovano il vero sviluppo dei loro popoli, combattendo fenomeni endemici come la povertà e la corruzione o nuovi rischi come la deforestazione che deturpa la «casa comune» e ipoteca fortemente l’avvenire dell’intero pianeta.

La linea dell’incoraggiamento ai giovani, perché non si arrendano al 'non c’è niente da fare' e in dialogo costruttivo con le altre generazioni prendano in mano il loro futuro, che per molti aspetti è già presente. La linea, potremmo dire profetica, di Chiese per le quali, come ha detto espressamente il Pontefice, il primo compito è quello di annunciare il Vangelo ai poveri e con i poveri (gli esempi del resto non mancano e Francesco non ha mancato di sottolinearli).

E infine quella della ricerca, difficile ma non impossibile (si pensi al Mozambico), di una convivenza pacifica tra etnie e religioni diverse. Viaggio, dunque, policromo e polifonico non solo per l’accoglienza colorata e gioiosamente musicale che ha accompagnato il Vescovo di Roma in tutte le sue tappe, quanto per la sinfonia dei contenuti che in molti passaggi dei 15 discorsi del Papa ha suonato la nota dell’appello alla custodia di una 'biodiversità' anche umana, prima ancora che delle specie animali e vegetali. Compromettere la prima attraverso l’imposizione di quella che Francesco ha chiamato «globalizzazione economica» da un lato e «cultura universale» dall’altro ha infatti come nefaste conseguenze il disprezzo del patrimonio culturale di ogni popolo e si riflette inevitabilmente sull’equilibrio dell’intero ecosistema.

Se dunque l’Africa sembra camminare con il passo del gambero, è anche perché l’uniformità imposta di certi modelli di sviluppo è funzionale agli interessi spesso inconfessabili dei potentati multinazionali, che si alimentano nel perpetuare le disparità sociali a tutti i livelli e nel mantenere a prezzi sempre più cari quello status quo, che disuguaglianze crescenti e migrazioni forzate invece denunciano come ormai insostenibile. La biodiversità che il Papa, Vangelo alla mano, chiede di proteggere è invece allo stesso tempo quella di un rapporto armonioso tra uomo e natura, ma anche e soprattutto la feconda relazione tra governanti e governati, tra istituzioni internazionali finalmente libere dall’ideologia degli aiuti condizionati e popolazioni che in virtù di quegli aiuti possano essere «artefici del proprio destino»; tra Chiese e società politica senza collateralismi; tra esponenti di diverse fedi e culture, e naturalmente tra giovani e anziani.

Per un certo verso è come se una nuova pagina fosse stata aggiunta alla Laudato si’, più volte citata dal Pontefice. In tal senso il viaggio di questi giorni può essere assunto anche come metafora del rapporto fra vecchio e nuovo mondo e l’accento posto da Francesco sull’ineludibile accordo fra generazioni diventa segno della altrettanto necessaria alleanza fra popoli che invecchiano e popoli giovani e vitali. Così le prospettive aperte da questa visita sono materia su cui riflettere non solo a Maputo, Antananarivo e nelle altre capitali africane, ma anche a Bruxelles come a Roma, a Washington come nelle altre roccheforti del potere occidentale. Sarebbe infatti insensato non ascoltare il grido dei poveri e svalutare la loro umana energia – cui il Papa con le sue iniziative pastorali, compresi i viaggi, è tra i pochi a dare risalto all’uno e all’altra – e che si tramuta anche in barconi stracarichi di umanità in fuga che con tragica frequenza affondano nel Mediterraneo.

Molte esperienze toccate dal Pontefice in questi giorni (la 'Città dell’amicizia' di padre Pedro, visitata domenica, l’opera dei sacerdoti, religiosi e laici che si impegnano «in condizioni difficili e anche dove mancano i servizi essenziali ») stanno lì a dimostrare che quel grido può anzi essere trasformato in «canto di speranza». Occorre però che le quattro linee parallelamente convergenti di questo viaggio vengano recepite - con gli specifici strumenti della politica - anche nelle cancellerie del mondo ricco. In fondo vale anche per loro il monito che Francesco ha rivolto ai governanti locali: «La povertà non è una fatalità». E non è il caso di perdere altro tempo.

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