sabato 19 luglio 2014
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Una vera lectio magistralis, quella dell’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Pedro Cruz Villalón che, chiamato a esprimersi dall’Alta Corte di Giustizia di Inghilterra e Galles, ha spiegato cos’è un embrione umano, chiarendo i criteri in base ai quali si può stabilire cosa sia brevettabile, e quindi sfruttabile commercialmente, secondo le norme europee.Fra i princìpi base c’è quello secondo cui possono essere brevettabili le invenzioni, e non le scoperte, e che non possono esserlo il corpo umano e le sue parti in quanto tali. In altre parole, non è possibile brevettare cellule e organi o parti del corpo – cioè organismi o parti di essi così come sono in natura – ma solo se isolate, manipolate o ricostruite mediante procedimenti che implicano un’invenzione, cioè tecniche messe a punto grazie all’ingegno umano. L’invenzione, poi, per essere brevettata non deve essere contraria all’ordine pubblico o al buon costume: la normativa dà cioè in qualche modo peso a valutazioni etiche e morali che, pur lasciando margini di manovra ai singoli Stati, consentono di stabilire un elenco minimo indicativo di invenzioni non brevettabili, fra cui quelle biotecnologiche che riguardano «l’impiego di embrioni umani a fini industriali o commerciali».Il pronunciamento di Villalón, non vincolante per la Corte di Giustizia, ribadisce il divieto di brevettabilità di procedimenti che distruggono embrioni umani stabilito dalla sentenza Brustle nel 2011, in forza di dati scientifici che mostrano ancora una volta che un embrione umano per essere tale ha bisogno di un uomo e una donna.Vediamo i fatti. Una compagnia biotecnologica britannica, la Isc (International Stem Cell Corporation), ha richiesto il brevetto per la «Attivazione partenogenetica di ovociti per la produzione di cellule staminali umane embrionali»: in altri termini, è stata messa a punto una procedura per stimolare ovociti umani non fecondati, e indurli a dividersi e svilupparsi analogamente a quelli fecondati, cioè agli embrioni. Il processo si chiama partenogenesi, e gli ovociti non fecondati che vi sono sottoposti sono i "partenoti". È questa particolare stimolazione di ovociti umani l’invenzione per cui si chiede il brevetto, e non gli ovociti in quanto tali.Secondo la sentenza Brustle anche i partenoti sono embrioni umani, e quindi non è possibile brevettare procedimenti che ne implichino la distruzione, compreso quello chiesto dalla Isc: questa però ha impugnato la decisione dell’ufficio competente britannico spiegando che, alla luce delle nuove conoscenze scientifiche, i partenoti non possono essere considerati embrioni umani, e quindi meritano la tutela brevettuale.Villalón ha dato ragione all’Isc spiegando che l’embrione umano è un organismo con una capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano, e in questo si distingue da ogni altro che non ha tale proprietà (per esempio tutte le cellule, gameti compresi). In particolare, secondo le attuali conoscenze scientifiche,  i partenoti umani non potranno mai svilupparsi fino ad arrivare alla nascita perché hanno il Dna solo dagli ovociti, cioè materno, e mancano di quello paterno. Si tratta del fenomeno dell’imprinting genomico, secondo il quale alcuni geni sono espressi solo dal Dna ereditato dal padre, e altri solo da quello ereditato dalla madre. Potremmo dire sinteticamente che un embrione con "due padri" o "due madri" non potrà mai svilupparsi per arrivare a nascita, e quindi il partenote – che ha Dna solo materno – non è un embrione umano.I governi del Portogallo e del Regno Unito hanno osservato che per i topi questo non è vero: esperimenti hanno mostrato che da ovociti non fecondati sviluppatisi per partenogenesi sono nati topi sopravvissuti fino all’età adulta. Ma la Isc ha ribattuto che in quel caso erano state effettuate anche pesanti manipolazioni genetiche, oltre che l’induzione della partenogenesi, e quindi non si poteva parlare di partenoti. La Francia ha poi precisato che una manipolazione del genere «sarebbe illecita ai sensi del diritto francese».Se mai fosse possibile una manipolazione genetica tale da trasformare un partenote in un organismo in grado di svilupparsi in un essere umano e arrivare a nascita, allora scatterebbe il divieto di brevettabilità. Il che significa anche che ogni cellula totipotente – cioè in grado di svilupparsi in un essere umano – non può essere oggetto di brevetto, mentre quelle pluripotenti – come le linee staminali embrionali, che possono trasformarsi in tessuti di ogni tipo ma non svilupparsi in un essere umano – possono esserlo.Sullo sfondo rimane aperta la grande domanda sui limiti delle manipolazioni dell’umano e dei corpi, sui quali però si naviga ancora a vista.
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