I morti di lavoro e l'Italia che deve crescere
domenica 13 agosto 2023

Una mattina di queste, sul web, un’immagine di una folla, uomini e donne, tanti, in una piazza. Distrattamente vai oltre, ma poi quella foto intravista ti torna in mente: ti ricordava qualcosa, ma cosa esattamente? Nel pomeriggio la cerchi: più niente. Con fatica la ritrovi, già finita in fondo al rullo delle notizie a perdere.

Dunque, l’immagine veniva da Viterbo: era uno sciopero di braccianti agricoli, per la morte di un compagno in un campo di angurie, dopo ore e ore a 38 gradi sotto al sole. Naceur Messaoudi, tunisino, in Italia da trent’anni, bracciante in nero a Montalto di Castro. Aveva 57 anni: troppi per raccogliere angurie, pagati a cottimo, 12 euro al quintale da dividere fra sei compagni, 12 o 15 ore di lavoro. Il 19 luglio era successo, una giornata bollente. Nel pomeriggio l’uomo si era accasciato a terra. Lasciato in ospedale dal “padrone” («L’ho trovato per strada, non è dei miei»), era morto poco dopo. Sfiancato: così morivano, una volta, i lavoratori “a chiamata” del nostro Sud, quelli che all’alba aspettavano in piazza, e pregavano di essere fra i prescelti. E invece questo Naceur è stato ucciso dal solleone oggi, anno 2023. Almeno la sua morte ha generato una reazione: erano in migliaia a Viterbo, con le bandiere della Flai-Cgil. C’erano neri e sikh con il turbante, nordafricani e donne con il velo, ragazzi, o uomini maturi. Le facce dignitose, gli occhi da gente che sa la fame. E anche una certa fierezza, per quelle mani capaci di lavorare dall’alba a sera per sfamare i figli a casa. Ecco cosa mi ricordavano: il Quarto Stato di Giuseppe Pelizza da Volpedo, icona delle prime proteste di braccianti e operai, 1901. Quel quadro che nei libri di storia pareva remoto, ai liceali degli anni ’70. E invece, 120 anni dopo, in Italia, riecco quei volti: come un Quinto Stato.,Ancora in maggioranza inconsapevoli di avere dei diritti, e timorosi per il posto, o forse addirittura già lieti di mandare qualcosa a casa, o di essere sfuggiti ad una guerra: tuttavia in alcune migliaia sono scesi in piazza senza nascondere il viso, solo domandando condizioni di lavoro decenti. E, se ci pensate, quanti sono: non solo nei campi, dove lo sfruttamento è più incontrollato, ma anche nelle città. Sono le badanti in nero dei vecchi, le colf “volanti”, i ragazzi in bici con la pizza, quelli che come un esercito la notte puliscono uffici, scaricano agli ortomercati o nei porti. Quelli che all’alba ci consegnano luoghi ordinati e negozi forniti, insomma il “nostro” mondo. Che vive anche grazie a un lavoro in nero, sottopagato, insicuro. Che moltitudine sono. Chissà, il giorno che davvero scioperassero loro.

Ma “loro” non sanno, non sono organizzati, hanno paura. Così il “nostro” mondo gira come sempre. Quelle bandiere, quelle facce quanto velocemente sono sparite dal web: mentre sui social si litigava su chi aveva ragione circa la festa di nozze di altoborghesi a Torino, in cui lo sposo ha platealmente lasciato la fidanzata che, accusava, lo tradiva. “Ha ragione lui”, “ha ragione lei”, è il dibattito del Ferragosto. Sciopero dei braccianti? Un’ordinanza per proibire il lavoro nei campi nelle ore torride? Scivola lesto, l’indice, sul titolo di sotto. La moglie, le figlie e la sorella invalida di Naceur si arrangeranno.

Fatichi a riconoscere l’Italia in cui sei cresciuta: perché hai sessant’anni, o per un’autentica mutazione avvenuta? E tieni a mente le facce di Viterbo, di uomini che conoscono la fame e la guerra, e tuttavia sperano. Che cresca, speri, anche questa Italia. Mentre sui social si litiga per l’uno o l’altra dei vip di Torino, entrambi quarantenni. Sazio, declinante Occidente, dove a quarant’anni ci si può credere ancora adolescenti.

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