I giovani e il futuro: il ruolo degli adulti
mercoledì 6 marzo 2019

In Italia i giovani sono troppo pochi rispetto a quello che sarebbe economicamente, socialmente, culturalmente necessario. E quei pochi, talvolta, non hanno le competenze necessarie per operare nei settori tecnologicamente avanzati, ma sovente sono sottoutilizzati, impossibilitati a costruire un proprio progetto di vita, costretti – i più intraprendenti – ad andarsene. Il rapporto tra formazione, mercato del lavoro, mondo delle imprese e dei servizi è problematico.

Ciò non sempre per i ritardi della scuola. In numerosi casi la struttura qualitativa della domanda di lavoro espressa dal sistema produttivo corrisponde solo in parte all’accresciuto livello di scolarizzazione e di conoscenze possedute. Non sempre c’è correlazione tra grado di istruzione e mansioni offerte. Un occupato su quattro – come evidenziato in un recente Rapporto Istat – è troppo istruito per i compiti svolti. Ciò non significa ovviamente che il livello di capacità acquisite dai nostri giovani sia nel complesso soddisfacente specie se raffrontato a quanto si verifica altrove.

La situazione in cui ci troviamo è paradossale. Siamo in presenza di una generazione di giovani molto più istruita rispetto a 20-25 anni fa, anche se ancora al di sotto della media europea. Pur tuttavia questa generazione di giovani guadagna molto meno degli adulti. Eppure i ragazzi di oggi hanno molti punti di forza. Sanno usare le Ict, conoscono le lingue, sanno muoversi nel mondo, non si stupiscono della diversità, credono nel merito e nella solidarietà. Il guaio è che questi giovani non hanno voce, non fanno sistema, non riescono ad attivare masse critiche. I giovani italiani dovrebbero avere le stesse condizioni e opportunità dei loro coetanei tedeschi e francesi. Dietro i numeri delle statistiche sul mercato del lavoro giovanile ci stanno ragazzi e ragazze in carne e ossa con le loro storie, esigenze, aspirazioni, sogni, delusioni che rischiano di tradursi in rassegnazione e sfiducia. Questi giovani ci interpellano, aspettano delle risposte che tardano ad arrivare.

Eppure il futuro del nostro Paese dipende da loro. Il ricambio generazionale – inteso come solidarietà costruttiva tra generazioni – è tra i fattori fondamentali dell’innovazione di cui tanto si parla. La consapevolezza di tutto ciò è molto scarsa. La generazione che si trova nei posti di comando, ha largamente mancato alla sua responsabilità. Si è occupata solo di se stessa e ha saturato di merci e di consumi il paesaggio delle nuove generazioni. La relazione genitori-figli è stata, per così dire, monetizzata, senza preoccuparsi delle questioni di senso. E i giovani hanno finito per trovarsi soli e sfiduciati. In questa prospettiva si impone la necessità di riprogettare nuovi e buoni legami tra le generazioni nei diversi contesti della vita sociale. Sono i legami che tengono in vita e aprono al progredire della storia. Le generazioni si susseguono, ma anche coesistono.

Si aiutano all’interno della famiglia (la pensione dei nonni, la liquidazione del padre aiutano i nipoti e i figli a studiare, a mettersi in proprio) e sono talvolta contrapposte nella società (gli anziani tolgono il lavoro ai giovani, i figli sono più poveri dei padri). Mancano reali processi di cooperazione e di mutuo sostegno. C’è una grande povertà relazionale. Ogni generazione ha bisogno dell’altra. Ognuna ha le proprie risorse che possono contribuire al bene e alla crescita di tutti. Perché ciò avvenga occorre creare le condizioni per un patto tra le generazioni.

Sta alla politica proporsi l’obiettivo dell’equità e della solidarietà nelle creazione e nella distribuzione delle opportunità affinché, superando sterili contrapposizioni, si possano unire le forze per promuovere collaborazioni e sinergie in vista di una vita buona e duratura per tutti. In questa ottica sviluppo e lavoro dei giovani devono essere assunti in termini contestuali. Il lavoro dei giovani non deve venire dopo, come semplice e improbabile conseguenza. Al contrario costituisce elemento coessenziale dello sviluppo stesso. La prima cosa da fare è allora quella di guardare i nostri giovani con occhi diversi, non come un problema da risolvere, ma come una opportunità per rigenerare il nostro Paese dotandolo di quelle energie e di quelle spinte ideali che solo i giovani hanno se adeguatamente formati e responsabilizzati.

Economista, professore emerito Università di Genova

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