I due grandi e gli sconfitti
sabato 19 novembre 2022

La stretta di mano tra Biden e Xi al vertice di Bali è, forse, tra le strette di mano che fanno la storia. Ha avuto ragione Agostino Giovagnoli a scriverlo subito su questa prima pagina. E ha avuto ragione il direttore di “Avvenire”, a quasi nove mesi dall’inizio della seconda e devastante fase della guerra d’Ucraina e nell’incombere di una nuova “guerra dei mondi”, a titolare quell’editoriale “Un incubo si allontana”.

La ferma e prudente gestione Usa della crisi generata dai missili caduti in Polonia ne è stata una sostanziale conferma. Ma a che prezzo, per gli altri attori sulla scena mondiale? Prima di fare questa geopolitica “valutazione di mercato” su chi vince e chi perde, con quella stretta di mano, si può provare a capire perché, e speriamo sia davvero così, l’incubo si allontana.

Con la stretta di mano di due leader usciti rafforzati dalle dinamiche di politica interna (la riconferma di Xi Jinping alla guida della Cina, il rilancio delle ambizioni di riconferma di Joe Biden alla Casa Bianca dopo le elezioni di Midterm), e dopo tre ore di «franco colloquio», apprendiamo che viene sotterrata l’ascia di guerra e che Usa e Cina si impegnano a ripudiare, e far ripudiare agli altri, l’uso del nucleare per dirimere le tensioni della globalizzazione e della loro competizione per la sua guida. Abbiano la conferma che la globalizzazione più che cooperativa resterà competitiva, ma almeno non sarà una guerra fredda, a condizione che non si varchino linee rosse tracciate da entrambe le superpotenze (la più evidente è Taiwan, le altre rientrano tra gli arcana imperii del duopolio competitivo che la stretta di mano propone, o impone, a un mondo multicentrico).

In questo quadro di agibilità del supermercato globale per la competizione sinoamericana è bene che non ci siano eccessive turbolenze. Se ne deduce, fortunatamente, che forse il conflitto sul suolo d’Europa tra Russia e Ucraina può essere indirizzato o forzato a un compromesso senza vinti né vincitori “totali” perché le guerre, di un certo impegno e a una certa scala, nell’età della tecnica nucleare non possono essere chiuse se non con la diplomazia della “pacificazione”.

Si è preso atto che la globalizzazione porta da sé conflitti, e che va gestita in modo competitivo – così pare si sia deciso con questa stretta di mano, adeguandosi alla via facilior della Realpolitik – e non cooperativo. Si rinuncia, insomma, a “generare pace” (la via difficilior che dovremmo invece intraprendere nell’interesse della “comunità” umana e della sua “casa comune”, il pianeta), ma potremmo essere pronti a entrare ufficialmente nell’età della “pacificazione” dei conflitti (magari anche armata; per essere realisti fino in fondo). Speriamo sia almeno così.

Dalla notizia lasciata filtrare che l’«amico» Putin aveva mentito a Xi sull’Ucraina (come se la Cina non avesse satelliti per verificare ai confini l’ammassamento di truppe russe al 24 febbraio, giorno dell’invasione) e che l’amministrazione Usa sta consigliando a Zelensky di valutare condizioni realistiche per una trattativa di pace con l’aggressore, si può dedurre – ed è un’altra cosa buona – che è probabile si apra una finestra di “pacificazione” in Ucraina. Insomma, dopo questa stretta di mano tra Biden e Xi, come volevasi dimostrare, la guerra può finalmente finire.

Continuiamo ad aspettare con amarezza che cambi, nella nostra Italia, il conformismo narrativo su questa guerra e le sue ragioni. Con amarezza perché la pace, evidentemente, era possibile anche prima, con scelte politiche più sollecite al bene comune dei popoli tutti, e non solo dei propri, da parte delle potenze imperiali attualmente in esercizio nella storia. Accanto alla voce limpida e forte di papa Francesco, forse, ci poteva essere qualche “chierico” in più a dirlo. Così, però, va il mondo, e dobbiamo essere contenti che sia arrivato il “contrordine ragazzi”.

Ma chi ci perde, dunque, da questa stretta di mano a Bali? A spanne, come su queste pagine si era previsto, ci perdono Russia ed Europa. La Russia declassata come potenza politico-militare, l’Europa declassata come potenza politico- economica. E risulta evidente la responsabilità dell’Unione nel non essersi data come priorità dopo la caduta del Muro di Berlino un quadro sostenibile di sicurezza continentale e nello scivolare in una contrapposizione alla Russia che è contro gli interessi “esistenziali” di entrambe. Ma ormai i giochi sono fatti, e c’è solo da sperare che dopo l’età della “pacificazione” che Bali sancisce (“hanno fatto un accordo e lo hanno chiamato pace”, verrebbe di dire), nei due terzi del secolo che ci stanno davanti emergano proposte ideali e politiche e leader che le incarnano non solo di “pacificazione” , ma di “pace”.

Di pace nella vera giustizia, cioè con la pari dignità dei popoli nel governo del loro destino comune. E qui speriamo che l’Europa riprenda fiato e ruolo. Intanto, in Ucraina, la pace si può finalmente fare, se si vuole, come torna a dire chi lo dice dal primo momento, Francesco. Dopo Bali, anche per i guerrafondai della geopolitica di potenza ogni morto in più è un morto “inutile”.

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