L'impegno di tanti che non vediamo: "I care", l'Italia della fiducia
mercoledì 7 febbraio 2024

«I care», mi interesso, mi preoccupo, mi prendo cura. Non è uno slogan o un banale anglicismo. È invece la bellissima frase che accomuna don Lorenzo Milani, Martin Luther King e i circa 4,5 milioni di volontari che ogni giorno in Italia si prendono cura gratuitamente del prossimo, dell’ambiente, dei beni culturali. Un filo rosso che unisce il soccorso alla protezione civile, i volontari della Caritas attivi in mille settori del sociale a quelli ambientali e ai volontari dei musei. E l’accoglienza delle vittime innocenti del conflitto di Gaza.

I Care è un pilastro italiano, parte dell’identità nazionale. Sabato scorso lo ha ricordato il Capo dello Stato a Trento, celebrando la designazione della città a capitale europea del volontariato, attività molto più diffusa di quanto sappiamo ogni giorno raccontare sui media. È la foresta che cresce senza fare rumore, ma se ne sentissimo parlare di più, cambierebbe almeno un po’ di quel sentimento depressivo che mescola paura e sfìducia e che da tempo va per la maggiore in Italia. Perché i volontari insegnano che prendersi cura rende anche felici e fa ritrovare senso alla vita.

Cambiare la narrazione significa guardare più da vicino, approfondire, leggere con occhiali diversi i fatti. Fa riflettere in questo senso l’arrivo in Italia di quella che si spera sia l’avanguardia dei bimbi palestinesi e delle loro famiglie portati a curarsi nei migliori ospedali pediatrici del Belpaese. Ricordiamo che li hanno accolti in accordo con il governo le stesse organizzazioni laiche, cattoliche e protestanti che dal 2015 attraverso i corridoi umanitari, cioè per vie legali e sicure, hanno portato in salvo circa 4.000 rifugiati e profughi vulnerabili.

Provengono da Libano (prevalentemente siriani) ed Etiopia (eritrei, somali e sudanesi), nonché da Niger, Giordania, Libia e Pakistan e Iran (rifugiati afghani). Queste organizzazioni, in virtù dell’esperienza ormai collaudata che prevede l’accoglienza diffusa sui territori, hanno chiesto di aprire un corridoio umanitario urgente per la popolazione di Gaza, superando l’approccio emergenziale e chiedendo di venire coinvolte nella gestione, con gli stessi canali costituiti da persone che volontariamente accolgono in casa persone in fuga da guerre e inferni vari.

Potrebbe essere un importante gesto distensivo, non a caso la legge sulla cooperazione prevede che le organizzazioni della società civile impegnate nella cooperazione internazionale (con un grande apporto del volontariato) siano parte «integrante e qualificante » della politica estera. Non perché siamo italiani “brava gente”, ma perché, se ci mettiamo, sappiamo fare bene il bene. «I care» non significa spontaneismo, ma sapersi organizzare per essere efficienti ed efficaci, utilizzando i volontari insieme con figure professionali. Un mix che è il modello italiano vincente del terzo settore. La matrice è la stessa. Nei tanti territori italiani il prendersi cura ha radici profonde nella tradizione cristiana e in quella associativa laica. Quello che conta è che ovunque ci sia lo spessore morale comune che porta a non lasciare indietro nessuno.

Oggi si teme che i giovani - con la felice eccezione del Trentino - siano meno interessati al volontariato, come dicono i numeri dell’Istat. L’esperienza del Covid ci ha, però, mostrato che nell’emergenza si sono fatti trovare pronti. Non è dunque vero che le nuove generazioni siano insensibili o che vivano solo nella realtà virtuale. Chiedono legittimamente di essere protagonisti in un Paese in cui sono minoritari e destinati a portare fardelli pesantissimi in futuro. Una proposta per fare spazio ai giovani, che va instancabilmente offerta dal volontariato partendo proprio dal modello Trento, è quella concreta della cura del complesso del bene comune. Da esso consegue la riscoperta del valore civile della partecipazione e, quindi, della democrazia, che va sempre difesa perché non è scontata, come la pace. L’insegnamento costituzionale che la solidarietà costituisce «dovere inderogabile» è chiaro. Cambiare il mondo, anche questo mondo, è un sogno, certo. Ma tutti hanno diritto di sognare, a ogni età. E comunque vale sempre la pena provarci. È la lezione della cura. «I care», appunto.

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