mercoledì 19 dicembre 2012
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​Giudizi morali a parte, bisogna riconoscere che nei Paesi ad alto reddito la finanza ha assecondato con il debito e gli strumenti derivati aspettative di crescita e di benessere che eccedevano le possibilità dell’economia reale e della sostenibilità ambientale. Dietro i guai della finanza ci sono, dunque, anche responsabilità nostre e la crisi è in questo senso anche il "conto" di eccessi che direttamente o indirettamente ci riguardano: sobrietà e sgonfiamento delle "bolle" (che abbiamo creato o delle quali abbiamo comunque goduto) sono le condizioni di un oggi difficile che ci sforziamo di riscoprire come virtù.

Fatta questa premessa, dobbiamo domandarci se possiamo permetterci un sistema finanziario nel quale le banche sono diventate più grandi degli Stati nazionali e si rivelano giganti con i piedi d’argilla nei quali la tradizionale gestione dei nostri risparmi attraverso i depositi bancari si accompagna a un’attività di trading proprietario che le porta continuamente sull’orlo del fallimento. Le tre più importanti riflessioni post-crisi (la legge Dodd-Frank negli Usa, la commissione Vickers nel Regno Unito e il rapporto Liikanen nell’Unione Europea) dicono chiaramente di no. L’ultima riflessione in ordine temporale (il rapporto Liikanen) colleziona evidenze impressionanti sui rischi che stiamo correndo. Ancora oggi ci sono molte grandi banche che hanno attivi superiori a quelli degli Stati d’origine. Per fare solo alcuni esempi la Ing vale il 161% del Pil olandese, la Hsbc il 119 % del Pil del Regno Unito, il Banco Santander il 118% del Pil spagnolo e Nordea il 197%  del Pil svedese.

Lasciamo sullo sfondo come riflessione per il lettore tutto quello che questo può significare. Certo si dirà che ormai le grandi banche sono imprese transnazionali e che la vigilanza europea - che, per fortuna, stiamo varando - serve proprio a evitare, dati questi rapporti di forza, che la crisi di una banca diventi la crisi di un Paese. Purtroppo però, anche se le grandi banche prese singolarmente sono una quota decisamente più piccola del Pil dell’Ue, è anche vero che esse sono sempre più interdipendenti e interconnesse e nel complesso il sistema bancario ha oggi attivi pari a oltre il 350% del Pil comunitario. Questa crescita dimensionale non appare per nulla giustificata da questioni di efficienza. Il rapporto Liikanen ricorda che il dibattito scientifico identifica la dimensione ottimale di un intermediario bancario a livelli decisamente più bassi di quelli delle grandi banche sistemiche (mediamente attorno ai 20 miliardi di euro di attivo). E che le banche di piccole dimensioni e del territorio sono più capitalizzate, fanno più prestiti e hanno depositi a parità di attivo e sono meno rischiose per il sistema. Il problema maggiore però è che le grandi banche sistemiche sono dei giganteschi conglomerati che mettono assieme la tradizionale attività di raccolta di risparmio della clientela tramite depositi bancari e quella infinitamente più rischiosa del trading in proprio su strumenti di finanza derivata. Per fare un esempio per due giganti come Deutsche Bank e Royal Bank of Scotland il 50 percento dell’attivo è rappresentato dal trading in derivati e ci sono banche per le quali il valore nozionale dei contratti in essere arriva al 3.000 percento dell’attivo. Le grandi banche si dedicano inoltre a quest’attività così rischiosa con una struttura di capitale terribilmente sbilanciata dove il debito arriva a essere fino a 50 volte superiore al capitale proprio. Ovvero scommettono i nostri soldi con il 2 per cento di risorse proprie e il resto preso a prestito.

Regolatori e commissioni indipendenti si sono limitate ai gridi d’allarme perché le timide soluzioni adottate sinora sono dei veri e propri palliativi. L’unica vera soluzione (suggerita da tutti e tre le autorevoli riflessioni citate) è quella della separazione tra banca commerciale e attività di trading proprietario perché è l’unione delle due funzioni la vera arma di pressione (e persino di ricatto) delle grandi banche sistemiche sugli Stati nazionali. Come ricorda John Vickers, che ha redatto il rapporto della commissione indipendente per il Regno Unito, il suo Paese ha dovuto salvare la Royal Bank of Scotland fallita per le operazioni di trading proprio perché essa aveva in pancia i depositi dei cittadini. La conclusione è dunque che, anche guardando allo stretto criterio di efficienza, il sistema ideale di cui avremo bisogno è uno con banche di dimensioni molto più piccole, minore indebitamento, separazione tra banche commerciali e attività di trading, regolamentazione e tassazione delle attività più speculative. Inoltre, è arrivato il momento come segnalato da recenti iniziative del governo americano di stringere la cinghia sul gigantesco problema dell’elusione fiscale di questi giganti per evitare di continuare a vivere in un’economia globale fatta di ricchezza senza nazioni e nazioni senza ricchezza.

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