«God save the king», ma meglio se si separa l’altare dal trono
giovedì 11 maggio 2023

Nella cornice di un’incoronazione sobria, Carlo III ha voluto dare un segnale molto significativo della sua comprensione, lungamente maturata da erede al trono, della novità dei tempi, per l’Inghilterra e per il mondo. L’inquadramento cioè del momento più solenne dell’incoronazione – l’unzione sacra con il crisma a ribadire lo status “sacerdotale” del sovrano come capo della Chiesa anglicana – in una cornice di privacy sottratta agli sguardi, grazie a un paravento “ecologico” sorretto da quattro pali di legno di quercia, rinunziando in questo passaggio “mistico” al fastoso baldacchino retto da nobiluomini cui erano ricorsi sua madre e prima ancora i suoi avi.

Un “manifesto” di sensibilità sociale ed ecologica che depone a favore della pensosità di un sovrano che si è preparato a lungo per essere all’altezza dei tempi nuovi da affrontare salendo al trono. Per un popolo che ha dato il via con il carbone alla rivoluzione industriale, la sensibilità ecologica di Carlo è un segno di grande consapevolezza del momento ambientale del pianeta. Ma proprio questa pensosità mi spinge a osare di pensare se non possa essere il sovrano giusto per prendere atto dell’anacronismo storico-spirituale di unire nella corona il potere politico e il potere religioso come “supremo governatore visibile” della Chiesa anglicana. Un assetto che ha origini tutte mondane e temporali con Enrico VIII in un atto di supremazia fatto approvare dal Parlamento nel 1533. Interessi politici della Corona e personali del sovrano, che sono uno snodo della storia europea.

E che, sommessamente, ci sembrano da tempo aver fatto il loro tempo. Questo non vuol dire immaginare un ritorno alla comunione con Roma, questione che attiene al dialogo tra le confessioni cristiane nella sua complessità: cinque secoli di storia non si cancellano dall’oggi al domani. Eppure il popolo che ha inventato l’Habeas corpus per i diritti dell’individuo, per sottrarne la libertà personale all’arbitrio del potere politico, potrebbe avere con Carlo III il sovrano che si faccia carico di promuovere un Habeas corpus spirituale, e cioè la presa d’atto che anche sul piano istituzionale nessun potere politico possa ambire oggi al “direzionamento” religioso dei propri sudditi.

Forse sono maturi i tempi per mettere in asse la Chiesa anglicana con l’imprescrittibile modernità di un assioma evangelico, che ha faticato due millenni a farsi strada nella storia d’Europa, e che però ha costituito la modernità politica dell’Occidente: la separazione tra Stato e Chiesa. Questo re mi sembra avere l’attenzione giusta ai tempi nuovi per lasciare a Dio quel che è di Dio più di quanto già di fatto avvenga nella “costituzione materiale” dei rapporti tra Corona inglese e Chiesa anglicana, ancorché 26 vescovi anglicani tuttora siedano, come da tradizione, nella Camera dei Lord.

Sarebbe un passaggio epocale che favorirebbe l’ecumene cristiana sotto il segno necessario di un abbandono dell’affiancamento “politico” tra Trono e Altare che fatica ancora oggi nella Chiese cristiane, nei momenti topici, a sciogliersi nell’effettiva interpretazione del Magistero evangelico sotto il segno della “profezia” spirituale. Un segno di questo bisogno mi sembra esser stato il rimbrotto di papa Francesco al patriarca ortodosso russo Kirill, a non potersi fare “chierichetto” di Putin, dove c’è anche l’esito di una lunga autocritica storica della Chiesa di Roma.

Noi oggi abbiamo bisogno di un potere spirituale che abbia la piena libertà di fare da contraltare ai troni imperanti nel mondo, per giunta in lotta tra di loro. Cristo è venuto non a esercitare il “potere di questo mondo” ma a temperarlo per difendere le “greggi” degli uomini dagli interessi mondani e dai loro dissidi. God save the King potrebbe voler dire non il riconoscimento della sacramentalità della corona ma l’umana invocazione che il Signore aiuti il re a portare nella salvezza il suo popolo, che ha dichiarato di essere salito al trono per servire e non per esserne servito. La “sacralità” del potere consiste nella sua capacità di non farsi “toccare”, cioè di mantenere autorità e autorevolezza, non nella sua unzione sacra. Questa mi sembra una credenza che si è chiusa con quanto ha detto sul legno storto dell’umanità un falegname in Galilea duemila anni fa.

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