giovedì 9 luglio 2009
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Quando i potenti della Terra si incontrano hanno in realtà un unico comune nemico: l’egoismo. E sono purtroppo gli egoismi nazionali, spesso mascherati da ragion di Stato, a far fallire i progetti più ambiziosi oppure a svuotare di senso i migliori propositi. L’altolà sul clima che India e Cina potrebbero opporre al G8 dell’Aquila che ha preso avvio ieri è un esempio lampante di come gli interessi dei singoli possano andare a detrimento di quel fantasma che si suole chiamare ' bene comune': un concetto antico, già di San Tommaso, poi di Locke e Montesquieu e oggi più che mai di Benedetto XVI, tanto bello e semplice da invocare quanto difficile da perseguire. Eppure la bussola del G8 aquilano voleva essere proprio questa: la persona, il cittadino, l’uomo di ogni razza e condizione al centro delle scelte, la comune intesa sull’economia, sulle regole, sulla trasparenza, sulla lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, al protezionismo. Chiamati al capezzale dell’economia mondiale malata dopo due anni di scossoni finanziari che ne hanno decimato banche e istituzioni e inghiottito centinaia di migliaia di posti di lavoro, i Grandi provano a disegnare un mondo nuovo, nel quale, come dicono, « non si può entrare con regole vecchie » . Vorrebbero una casa di vetro, dove l’avidità di pochi non sia la rovina di molti e in questo gli americani sono gli attori principali, per numero di banche e finanziarie collassate, di fabbriche sull’orlo del fallimento ( si pensi solo a General Motors e Chrysler), di grandi imbroglioni ( come Madoff). Un mondo, insomma, da rifare da capo a piedi, anche se, come dice Berlusconi, « la parte più dura della crisi è alle nostre spalle » . Ma di malata – e gli Otto lo sanno – non c’è solo la ricca economia occidentale, ma anche l’Africa, continente dimenticato e sofferente, per il quale il G8 annuncia di impegnarsi a « mitigare l’impatto dell’economia mondiale » , rinnovando i propri impegni e i propri sforzi per raggiungere gli obbiettivi del Millennio entro il 2015. Obbiettivi che negli ultimi anni sono stati rallentati, disattesi, inconclusi, anche da noi italiani. Dimenticando che l’emergenza non è soltanto delle banche e nei salvataggi di fabbriche in crisi, ma esiste un’emergenza etica, che riguarda milioni, anzi miliardi di individui. Per questo gli Otto ora provano a creare le condizioni perché la crescita mondiale coinvolga anche le economie più vulnerabili e spalanchi l’accesso ai mercati anche alle nazioni più svantaggiate. « I progressi nello sradicamento della povertà – dicono i capi di Stato e di governo – possono essere raggiunti solo se la crescita economica e il cambiamento climatico, attraverso un ambizioso accordo a Copenaghen, sono perseguiti in maniera congiunta». Berlusconi stesso – che ieri ha annunciato che si terrà un altro G8 sul tema della protezione civile a L’Aquila entro l’anno – assicura: « Con gli aiuti del Global Fund abbiamo curato milioni di bambini. Il mio Paese è in ritardo per i fondi promessi, ma abbiamo avuto la vicenda del terremoto che ci ha tenuto molto impegnati. Come d’accordo, entro fine anno daremo anche noi il nostro contributo » . La prima giornata del vertice si chiude dunque con questi auspici. Vedremo oggi e domani, quando saranno i diretti interessati – l’Africa e le nazioni povere da un lato, i Paesi emergenti e inquinanti dall’altro – ad interloquire con i Grandi, se i propositi che fuoriescono dalla bozza conclusiva saranno mantenuti o magari migliorati. Vediamolo dunque come un bicchiere mezzo pieno, questo vertice iniziato ieri sulle macerie di una città ferita dal terremoto che scommette sull’ottimismo della ragione e sulla volontà dei potenti di « suonare l’allarme all’economia mondiale » , come ha detto Berlusconi. Senza nasconderci che lo stesso bicchiere può apparirci domani mezzo vuoto. Dipende dal contenuto.
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