Gli eccessi del politicamente corretto colpiscono anche James Bond
mercoledì 17 gennaio 2024

Chissà cosa direbbe oggi il compassato Ian Fleming, di cui ad agosto ricorrerà il sessantesimo dalla scomparsa, del fatto che la spia britannica più famosa al mondo, quel James Bond nato dalla sua penna, col mutare dei tempi e della sensibilità finisca spesso nella bufera per i suoi atteggiamenti «sessisti» o «razzisti». Stavolta, il casus belli lo ha sollevato il British Film Institute, decidendo – in una rassegna dedicata a John Barry, compositore delle colonne sonore della saga cinematografica – di accompagnare alcune proiezioni con un avviso agli spettatori, in particolare durante alcuni spezzoni di due film: “Missione Goldfinger” e “Si vive solo due volte”. Nel primo – in cui l’aplomb di Sean Connery incarna uno dei lati più noti della celebre spia, impenitente seduttore – la scena stigmatizzata è quella in cui Bond sovrasta fisicamente una delle sue fiamme, interpretata dall’attrice Honor Blackman. Nel secondo, sempre Bond-Connery fa qualcosa che è tipico del suo mestiere, il camuffamento, travestendosi e assumendo tratti “orientali”. E la chiosa del Bfi qualifica il tutto come «stereotipi razziali obsoleti».

Ora, non è la prima volta che qualcuno dei topos narrativi costruiti da Fleming (che ben conosceva tic e vizi del mondo sotterraneo delle “ombre” in trench, per averne fatto parte) finisce nel mirino di chi ne critica – e non senza qualche ragione – l’eccesso di machismo o il consumo smodato di alcolici, a suon di «Martini dry, agitato, non mescolato».

Eppure, dai primi romanzi molto è mutato: nei decenni, dopo la morte di Fleming, altri scrittori di vaglia hanno preso in mano le sue storie. E, col passare delle stagioni, oltre a cambiare sarto e modello di automobile, il glaciale James è diventato più umano e vulnerabile, lavorando sotto direttori in rosa (e pure nei veri Servizi britannici il glass ceiling non c’è più, come insegnano Stella Rimington ed Eliza Manningham-Buller, già “cape” del MI5). Ciononostante, la celebre spia di carta e celluloide al servizio di Sua Maestà rimane nel mirino dei detrattori.

Ed è in buona compagnia, visto che, per restare in terra d’Albione, pure le opere di altri monumenti come lo scrittore di capolavori per l’infanzia Ronald Dahl o la regina del giallo Agatha Christie sono state messe in discussione. E in casa nostra, si parva licet, nei giorni scorsi la singolare polemica su «Biancaneve colf dei sette nani» innescata da un estratto del lavoro di un’artista brava e ironica come Paola Cortellesi, ha assunto toni che avrebbero lasciato di sasso i teutonici Jacob e Wilhelm Grimm e quel geniaccio di Walt Disney.

Perché? Forse perché non si vuol prendere atto che in quarant’anni, da quando il movimento del politically correct muoveva i primi passi nei college statunitensi, di strada se n’è fatta. E che quella legittima richiesta di maggior rispetto nel linguaggio pubblico (per le donne, per i gruppi etnici e per ogni tipo di minoranza, credo religioso o scelte sessuali o di genere) ora viene ascoltata e accompagna la nostra vita sociale, mutando ogni giorno un pizzico dei nostri costumi e della nostra sensibilità.

Chi non se ne accorge, rende un pessimo servizio alla causa, perché – imponendo bollini o censure a opere d’antan – finisce per fare autogol. E se in alcuni ambiti quella del politicamente corretto non è ancora “una dittatura”, come pure qualcuno ha scritto, il rischio è che talvolta diventi un grottesco o surreale setaccio retroattivo con cui filtrare ogni manifestazione del pensiero con fori così minuscoli da non far passare più nulla. Forse, per evitare strabismi o torcicolli, sarebbe il caso di mantenere uno sguardo sereno sulle cose presenti, invece di inforcare lenti contemporanee per scrutinare quelle passate. E magari converrebbe chiedere a mister 007 di cambiare non tanto gli atteggiamenti d’un tempo, figli di altre epoche e ormai consegnati alla storia del cinema, ma di perfezionare quelli futuri. Rinunciando, qualora si ponesse l’occasione, se non alla «licenza di uccidere» – anche su quella ci sarebbe da discutere, no? – almeno a quella di offendere gruppi etnici, minoranze o le partner delle sue pericolose avventure.




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