giovedì 5 maggio 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
«Giustizia è fatta» annuncia Obama al mondo, dopo l’uccisione di Bin Laden. È così? È questa la giustizia? Il crimine commesso da Bin Laden era immenso. Etimologicamente: non si può misurare. La giustizia è l’opera che ristabilisce l’ordine, introduce la pacificazione delle coscienze, placa le menti. Ma l’uccisione del criminale che pensò e volle e realizzò il maxi­crimine delle Due Torri pacifica le coscienze, placa le menti? Certo che no. Se l’omicidio è il crimine che non ha giustizia, perché nulla può riportare il mondo a com’era prima dell’omicidio, la strage è un supercrimine che turba non un uomo o una famiglia ma l’umanità. Non consiste nell’uccisione delle centinaia (in questo caso, migliaia) di uomini a cui toglie la vita, perché innumerevoli altre vite sono ferite e lacerate, le vite di coloro che erano congiunti ai morti, e di coloro che erano nati da quei morti e che adesso sono orfani, e di coloro che nasceranno da questi orfani: perché l’orfanità costringe a vivere una vita senza vitalità. Più di tremila persone sono morte con l’attacco alle Due Torri di New York, e altre con gli altri attacchi di quel giorno, ma non possiamo contare le vite che saranno turbate nelle generazioni future, da quelle stragi. L’omicidio e la strage sono crimini che durano nel futuro, attraversano le generazioni. Ci sono orfani e vedovi delle Due Torri finiti nell’alcol e nella droga. Commettono reati. Questi reati son compresi nel super-reato di chi ha commesso la strage. Non c’è codice che contenga i crimini compresi nel super-crimine, e che possa fare giustizia. La giustizia umana è impotente. La giustizia divina è un’altra cosa, non conosce il termine impotenza, ma Obama, col suo «abbiamo fatto giustizia», intendeva giustizia umana. E questa non l’ha fatta, non poteva farla. La strage delle Due Torri però è stata anche un’altra cosa, un atto militare, un’aggressione agli Stati Uniti, in cui gli Stati Uniti hanno perso. Obama, capo degli Stati Uniti, annuncia la reazione vittoriosa, perché ha scovato e ucciso l’aggressore. Inteso così, il suo discorso ha un senso, che si esaurisce nella sfera politico-militare. L’esultanza del popolo è esultanza per questa cancellazione della sconfitta. Il popolo americano ha un concetto di giustizia che include una porzione di vendetta, che non è una catarsi morale, è una catarsi psicologica: coloro che sono stati colpiti dal crimine, restano schiacciati dal bisogno che il colpevole soffra, e la giustizia americana permette ai parenti delle vittime di vedere le sofferenze del colpevole, l’agonia, e raggiungere così la pacificazione. Ma questa non è giustizia, l’umanità non può pacificarsi così. L’umanità smette di odiare il colpevole se il colpevole, invece di amare la colpa e vantarsene, la odia e la maledice. Commettendo il crimine, il colpevole è uscito dall’umanità, odiandolo l’umanità odia qualcuno che non è più suo membro, se costui rientra e soffre per quello che ha fatto e maledice la propria colpa, l’umanità può riconciliarsi con lui. È la parabola raccontata da Dostoievski in 'Delitto e castigo'. Noi disprezziamo Raskòlnikov per tre ragioni, perché ha ucciso una vecchia inerme, perché ha ucciso un’altra donna con lei, e perché ha agito per motivi abietti: considera, niccianamente, la vecchia come indegna di vivere. Condannato, va a scontare la pena. Ma questa non è redenzione. Quando alla fine fa i conti della pena che deve ancora scontare, e soffre che non sia più lunga, perché vorrebbe soffrire di più, allora è redento, allora noi sentiamo che la giustizia ha raggiunto il suo scopo: perché il colpevole si autocondanna, diventa la propria giustizia, più severo della nostra giustizia. La vera giustizia sta nella redenzione. Non ce n’è un’altra.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: