Giovani vittime della strada, ecatombe che non scuote più
martedì 30 maggio 2023

Dodici morti solo domenica, trenta in tutto nel fine settimana. La Spoon River delle tragedie della strada racconta la storia sempre uguale di giovani vite spezzate dopo una festa, all’alba dopo una discoteca. O di un incosciente che sfreccia sull’asfalto come un pazzo, spesso incurante della segnaletica e dei limiti di velocità. Oppure ancora di vittime senza colpa, falciate dallo stato di alterazione o dalla spacconeria altrui. Resta alla fine l’allucinante bollettino di guerra dei numeri, che confermano come gli incidenti stradali siano sempre la prima causa di morte giovanile nella fascia d'età 15-29 anni, il 35% del totale. Nettamente davanti ai suicidi (12%) e ai tumori (13%). Dall’inizio dell’anno sono deceduti sulla strada più giovani italiani che in tutte le missioni militari dal 1945 in poi.

Quelle dello scorso week-end in particolare sono cifre record. In passato, però, ogni volta che il numero degli incidenti fatali superava la quota di tolleranza che ancora distingue una notizia dalla pur orrida abitudine qualcuno alzava la mano per dire: ora basta, facciamo qualcosa. Serviva a poco, ma quel poco magari spingeva almeno uno su mille a ravvedersi, a togliere il piede dall’acceleratore, a usare la testa, a capire che arrivare è sempre più importante che partire. O anche solo a convincersi che quando si sale in automobile l’unico obiettivo deve essere quello di tornare a casa. Non prima del tempo che serve, ma prima di non poterlo fare usando le proprie gambe. Ora invece solo poche righe in cronaca. Impossibile non notare una sproporzione tra gravità dei fatti e reattività dei media. Si raccontano le storie di chi su quelle auto e su quelle moto non salirà mai più, si preferisce indurre la lacrima piuttosto che suggerire rimedi. Un dramma sociale, insomma, che si tende a rimuovere, dimenticando che in strada troppo spesso non si muore per caso ma per cause precise, che possono quindi essere eliminate.

Non è banale ripetere a sfinimento che è indispensabile viaggiare riposati, con le cinture allacciate (anche sui sedili posteriori), che occorre mantenere le distanze di sicurezza, evitare sorpassi azzardati, rispettare i limiti di velocità e non vagheggiare, come qualcuno invece ora fa, addirittura di alzarli, quei limiti. E poi evitare di bere alcolici e di assumere droghe, spegnere il cellulare mentre si guida, utilizzare i seggiolini per bambini, non distrarsi mai e viaggiare sempre con la testa e gli occhi sulla strada.

Ma non basta. Per interrompere questo suicidio collettivo a puntate ogni governo di turno prova a dettare regole e inasprire le sanzioni. C’è un Codice della Strada che attende da troppo tempo di essere aggiornato: utile, certo, ma non risolutivo. È come ingigantire il cartello “Attenti al cane”, senza rendersi conto che il cane non c’è. La guardia vera sono le pattuglie di Polizia e Carabinieri che dovrebbero controllare il territorio, fermando gli ubriachi prima che salgano in auto, e sottoponendo i sospetti alla prova del palloncino, mitologica usanza della quale si sono quasi perse le tracce, insieme ai palloncini stessi.

Non per fare sempre odiosi confronti ma in Germania, dove bevono peggio ma non meno che da noi, le stragi del sabato sera non esistono quasi più. In Francia anche. E non in virtù di un miracolo, o della particolare resistenza alcolica degli indigeni. Il crollo degli incidenti ha coinciso con la decisione di mettere una pattuglia di agenti davanti ai locali più a rischio. Imitarli costa, certo. Ma queste tragedie umane hanno anche un prezzo sociale che merita di essere considerato. Se il numero degli incidenti diminuisse di colpo sapremmo di essere sulla strada giusta. Sarebbe bello che qualcuno ci pensasse davvero. Per i ragazzi, e un po’ anche per i genitori. E per chi passa le notti in bianco in attesa di una porta che si apre. Per poter pensare, girandosi sul cuscino: anche per stavolta, tutto bene.

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