mercoledì 29 agosto 2018
Non sono 'contro' ma 'dopo' la religione. Quale corrente seguono i «Millennials», come uccelli migratori, per spostarsi da un mondo religioso a loro avviso troppo stretto verso nuove regioni
Giovani e religiosità esploratori dell'ignoto
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«Penso che sia possibile avere un rapporto con Dio a prescindere dalla Chiesa... per cui non credo sia necessario dover andare in chiesa per forza ogni domenica». La voce di questa ragazza, intervistata nell’ambito della indagine su giovani e fede svolta dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo (cfr. a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi, Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia , Vita e Pensiero, Milano 2015), esprime il sentire profondo di molti suoi coetanei, anche tra quelli più 'vicini' e partecipi alle varie esperienze ecclesiali. Giovani che si mostrano 'allergici' di fronte a qualsiasi forma strutturata e 'preconfezionata' della fede, eppure assetati di risposte vere di fronte alle domande che contano: perché il dolore e la morte? Qual è il senso della mia esistenza? C’è un Dio?

Le paure che li abitano sono quelle di sempre: paura di rimanere soli nella vita e senza affetto. Grattando via la vernice che molta letteratura sulla condizione giovanile imprime su di loro (dai 'nativi digitali' ai 'nichilisti attivi'), appare improprio parlare di una vera e propria 'mutazione antropologica' nel caso dei Millennials (e per la 'generazione Zeta' aspettiamo ancora a dire). Forse si tratta più semplicemente di ascoltarli in profondità e di avviare con loro nuovi percorsi per interpretare insieme le domande e le paure vere dell’esistenza umana.

È quello il crocevia giusto in cui riannodare eventualmente le fila con le grandi tradizioni spirituali. In vista del Sinodo dei Giovani di ottobre molte diocesi hanno realizzato delle 'campagne di ascolto' attraverso questionari o altre iniziative nelle scuole, università e ambienti pubblici (come le 'tende nelle piazze'). I risultati sono difficilmente sintetizzabili anche se il trend appare ormai chiaramente. In uno dei questionari, realizzato in una diocesi del Nord Italia, alla domanda relativa alla rilevanza della religione («Nella tua vita, quanto è importante la religione?»), la maggior parte delle risposte oscilla tra «abbastanza», «poco» e «niente». Queste risposte vanno riconosciute per quello che esprimono, come indicatori di una frattura profonda, nei giovani, tra l’esperienza religiosa così come l’hanno conosciuta e vissuta finora e la domanda di spiritualità 'a tutto campo' che c’è in loro.

Il Rapporto Giovani 2018 consegna dati cristallini, dai quali si ricava l’impressione che il solco scavato sia già profondo: al Nord e al Centro i giovani che si dichiarano cattolici sono sotto il 50% e coloro che dichiarano di frequentare la chiesa una volta la settimana sono l’11,7%. Il 25,1% non frequenta mai. L’impressione generale, ha osservato Paola Bignardi, è che «il discorso specificamente religioso si sia ulteriormente indebolito, mentre le domande esistenziali e il bisogno di spiritualità si siano addirittura rinforzati, in una situazione in cui si sono rarefatte le risposte o è stata rifiutata la tradizione religiosa».

Ma quali sono i tratti emergenti del loro «bisogno di spiritualità»? Quale corrente seguono i giovani, come uccelli migratori, per spostarsi da un mondo religioso a loro avviso troppo stretto verso nuove regioni inesplorate dello spirito? In primo luogo, vi è una grande diversità di tempi e di modi nella loro esperienza. La spiritualità dei giovani appare multiforme, non codificata, non 'contro' la religione, ma 'dopo' la religione. Una generazione che cerca una spiritualità molto 'personalizzata', la cui caratteristica principale è favorire il rapporto con se stessi e la propria interiorità.

Di fronte a una decisione hanno bisogno di più tempo per fidarsi, ma ciò non significa che prima o poi arrivino a farlo. La differenza con la tradizione religiosa cristiana appare marcata da una sorta di 'sbarramento' nei confronti di un modo di presentare Dio troppo 'ingabbiato', ma non sono chiusi ai racconti dei testimoni dell’invisibile. La possibilità di una forma di relazione con un Dio personale è tendenzialmente collocata nell’ambito delle 'opinioni personali in ambito religioso', ma quando scoprono che il nome di Dio non è la paura, ma l’amore, le cose cambiano.

L’Instrumentum laboris in vista del Sinodo utilizza il termine «varietà» per esprimere i diversi percorsi e riconosce che i giovani sono «aperti alla spiritualità, anche se il sacro risulta spesso separato dalla vita quotidiana» (n.29). È questa la separazione che la Chiesa è chiamata a ricucire, non mettendo una toppa sopra lo strappo ma con «il vestito nuovo» (Lc 5,36) dell’empatia, dell’ascolto e della vicinanza. In secondo luogo, la spiritualità dei giovani si esprime attraverso canali preferibilmente destrutturati e legati alla propria biografia. L’ambiente digitale è la loro acqua e la decostruzione dei linguaggi il loro alfabeto. Immagini, profili, citazioni, simboli: la domanda di spiritualità è dentro il grande calderone multimediale, ma in forma discreta e sottotraccia, mai esibita perché segue la corrente opposta dell’imperativo della condivisione a tutti i costi.

C’è soprattutto l’idea che l’esperienza spirituale debba essere anzitutto un percorso personale e legato alla vita, un’esperienza che passi per la 'cruna dell’ego', ma senza restare incagliati. La gelosa difesa della propria soggettività non è vissuta come chiusura alla possibilità di un incontro, ma condizione per la sua autenticità. In terzo luogo, la spiritualità dei giovani è alla ricerca di figure significative, 'guide' che si affianchino, non che si impongano. Quante volte mi sono sentito dire nel dialogo personale con gli universitari: 'Caro don, sono proposte interessanti, ma non chiedermi nulla', restituendomi chiaramente l’impressione di una Chiesa che ai giovani deve sempre 'proporre' o chiedere qualcosa. Fosse anche solo compilare un questionario. Occorre ricostruire un rapporto all’insegna della vicinanza e della gratuità dell’ascolto, dedicando più tempo all’incontro, anche a quelli più fortuiti. Non cercano figure eroiche, l’importante è che non siano giudicanti.

La sfida che sembra delinearsi per la Chiesa consiste nel rendere nuovamente affascinante l’incontro con il Dio di Gesù Cristo, colui che è 'più interiore' alla propria stessa interiorità. Il Dio di Agostino appare quello più vicino alla sensibilità dei Millennials, giustamente gelosi della propria unicità personale, non 'senza fede', ma casomai 'senza religione' e in ogni caso contro ogni massificazione e intruppamento. Sempre nell’Instrumentum si legge che «in diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana, ma occorre riconoscere che non sempre i pastori sono capaci di entrare in sintonia con le specificità generazionali di queste attese» (n.30).

Se la Chiesa riesce a presentarsi ai giovani con il vestito nuovo della misericordia, forse anche la domanda di spiritualità troverà nuovi canali di espressione e nella borsa dei giovani riguadagnerà quotazione il Vangelo del Regno. Ma questo richiede tempo e fiducia. Ha scritto Chiara Giaccardi: «Non si può chiedere a qualcuno di avere fede se non gli si dà fiducia, perché il movimento è lo stesso: fede, fiducia, fedeltà vengono da fides, corda . La fede non è un insieme di contenuti. È un legame (di amore, di filiazione). Solo 'in cordata' possiamo camminare con coraggio, perché se qualcuno cade gli altri lo tengono». Lo Spirito forse sta tracciando nuovi sentieri non per 'deboli di cuore', e i giovani più sensibili sono i primi a saperli riconoscere. È tempo di dare loro fiducia.

Docente di Teologia alla Facoltà teologica del Triveneto

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