martedì 11 marzo 2014
La crisi demografica è sintomo di forte disorientamento
di Mauro Magatti  e Chiara Giaccardi
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In qualsiasi società umana, la prima, più immediata forma di generatività è quella biologica. Il giovane che diventa adulto comincia a pensare alla propria discendenza. Da questo punto di vista, la crisi demografica è un sintomo profondo del recente disorientamento antropologico nelle società dei liberi. Lasciamo perdere gli scenari apocalittici: l’inverno demografico, che pure attende i Paesi avanzati, va visto come la tappa di un’evoluzione di lungo periodo, che deve ancora raggiungere il suo punto di equilibrio. La diffusione del benessere si accompagna alla riduzione del numero di figli. Ma un conto è trovare un equilibrio diverso, un conto è, come nel caso dell’Europa contemporanea, perdere qualsiasi slancio generativo. Un continente biologicamente sterile difficilmente è capace di guardare con fiducia al futuro.
A complicare le cose ci pensa poi lo sviluppo tecnologico. L’allungamento della vita e il progresso delle tecniche riproduttive tendono oggi, per la prima volta nella storia, a scollegare la nostra esperienza di vita dal vincolo generativo, con implicazioni antropologiche (prima ancora che sociali, economiche, politiche) di enorme portata. Eppure, non è difficile riconoscere che spezzare il rapporto tra le generazioni significa perdere la consapevolezza di essere collocati all’interno del flusso della vita, che costituisce uno dei pochi argini al dominio dell’individualismo più radicale. La child free society, di cui si è parlato come di una fase di positiva evoluzione sociale, non è forse il sintomo di una società che non riconosce più di essere parte di una vita che non coincide con se stessa?
Generare non è comunque solo "fare figli". Se fosse solo una questione biologica, tutti coloro che, per scelta o necessità, non hanno figli, sarebbero esclusi dalla dimensione generativa. Mentre, al contrario, chi è genitore sarebbe generativo tout court. Né l’una né l’altra affermazione sono vere, così poste: essere generativi non dipende da condizioni esterne, da un ruolo legato alle nostre posizioni e scelte sociali. È un modo di porsi che può essere (o non essere) fatto proprio: generativi, dunque, si diventa. Ascoltando la voce di quella dimensione originaria che ci costituisce. Ci sono genitori biologici che tuttavia non riescono a "mettere al mondo" i loro figli perché li incatenano al nucleo chiuso, e per questo mefitico e soffocante, della famiglia-bozzolo. Così come ci sono uomini e donne senza figli che continuamente danno vita alle persone e alle situazioni che incontrano. E, in un’impresa, chi cerca di strumentalizzare ogni situazione a proprio vantaggio, anche quando dovesse riuscire ad avere successo, tenderà a impoverire l’ambiente di lavoro, creando lacerazioni e dolore, mentre chi è capace di coinvolgere e di entusiasmare, mettendo in gioco i propri talenti, migliorerà la qualità complessiva dell’ambiente di lavoro, riuscendo a tirar fuori il meglio di sé e degli altri. In realtà, generare è sempre molto di più di un atto biologico: è simbolico, politico, antropologico. È, cioè, farsi tramite perché qualcosa che vale, grazie a noi (alla nostra disponibilità prima che alla nostra volontà), possa esistere. In questo senso, mettere al mondo include ogni atto di filiazione simbolica. Vivendo nel flusso della vita umana, che si svolge nel tempo e nella relazione, uno dei modi fondamentali attraverso cui possiamo esprimerci e realizzarci è proprio assecondando e interpretando il movimento della generazione.
Controcorrente rispetto al nuovo senso comune, possiamo affermare che l’atto supremo di libertà creativa è la capacità di essere generativi. Poste così le cose, non è difficile scorgere attorno a noi i tanti modi di essere generativi. È generativo un educatore che aiuta i ragazzi a "venire alla luce" facendosi – nella bella espressione di Michel de Certeau, «ermeneuta della poesia del senso nascosto» (Lo straniero o l’unione nella differenza, Vita e Pensiero, Milano 2010). È generativo l’imprenditore che investe nel futuro della sua impresa non solo per perseguire un profitto (che, in se stesso, è soltanto un indicatore di efficienza), ma anche e soprattutto per realizzare qualcosa di bello e di grande insieme ai propri collaboratori. Sono generativi l’artigiano e l’artista quando amano quello che fanno e, attraverso la loro maestria, aggiungono bellezza al mondo.
È generativo il volontario che si fa carico di un bisogno insoddisfatto, riparando in modo originale la lacerazione del tessuto sociale e organizzando insieme ad altri una risposta efficace. È generativa la guida spirituale che aiuta a porsi domande sull’esistenza riaprendo la speranza del futuro. È generativo il professionista che, senza essere geloso della propria competenza, si rende disponibile a impiegarla non solo per la propria convenienza personale, ma anche per far trionfare la giustizia. È generativo il professore che non si lamenta dei propri allievi, ma cerca di ascoltarli e di rivedere il proprio sapere alla luce delle loro domande spesso inespresse, consapevole che ciò che ha raggiunto può sopravvivere solo nel lavoro altrui («Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo vi aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti», scriveva don Milani in Lettera a una professoressa). È generativo l’amministratore locale che sa porsi come punto di aggregazione delle tante energie presenti sul territorio, diventando il volano per la mobilitazione di risorse diffuse capaci di rinsaldare i legami comunitari. È generativo chi riesce a trasformare un trauma – la perdita di un figlio, un incidente stradale, un torto subito, un tradimento – in energia positiva per combattere contro i tanti mali che offendono la vita umana ed è generativo chi si china a guarire una ferita esistenziale, facendo rinascere la speranza nella vita. Un elenco che potrebbe continuare a lungo.
Di generatività, dunque, si può e si deve parlare: radicata nella nostra esperienza originaria, essa non è riducibile alla sfera biologica, ma attraversa l’intera vita personale e sociale. La generatività ha la forza per candidarsi a essere il nucleo vivo di un nuovo immaginario della libertà, in grado di portarci al di là della società dei consumi e delle sue passioni tristi.
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