Adesso che i combattimenti tra l’esercito e i ribelli sono arrivati a sfiorare il cuore del potere di Assad, insanguinando la periferia della capitale Damasco, nessuno può ormai negare la realtà, evocata, temuta e spesso ignorata in questi lunghi undici mesi di rivolte e repressioni: in Siria divampa la guerra civile, tanto più tragica quanto più avvolta da pesanti incognite sugli attori in gioco.L’unica certezza riguarda la ferocia con cui il regime di Hafez al-Assad, giovane leader dalle velleità riformiste e dal pugno di ferro, ha cercato di stroncare il movimento di protesta nato sull’onda delle primavere arabe. I massacri sistematici degli oppositori e dei dimostranti presi a cannonate hanno segnato negli ultimi giorni un’escalation che ha costretto gli osservatori della Lega araba a sospendere la loro missione, già screditata e resa difficoltosa dagli intralci posti dalle autorità di Damasco. Le stesse organizzazioni umanitarie hanno smesso di tenere la triste contabilità delle vittime (5 mila a fine dicembre), data l’impossibilità di verificare le cifre esatte. Anche perché ogni giorno si segnalano sabotaggi e attentati, con morti e feriti, da parte dei rivoltosi.La protesta di intellettuali e pacifici cittadini che prese avvio lo scorso marzo è stata via via affiancata da gruppi armati che hanno finito per egemonizzare la ribellione. È una galassia dai contorni non ben definiti: ci sono civili che hanno formato delle ronde di autodifesa, disertori che hanno dato vita all’Esercito siriano di liberazione, formazioni radicali islamiche sostenute dall’Arabia Saudita e, probabilmente, anche cellule terroriste di al-Qaeda.Come già in Libia, l’opposizione armata siriana invoca un intervento "umanitario" della comunità internazionale per impedire la sanguinosa repressione del dittatore. Ma la Nato non ha alcuna intenzione di fare la guerra ad Assad come fece, su sollecitazione di Sarkozy, nei confronti di Gheddafi. E il Consiglio di sicurezza dell’Onu che si riunisce oggi per dibattere del caso siriano, è bloccato dal veto della Russia. Per Mosca infatti il regime di Damasco, cui ha fornito recentemente aerei e armi pesanti, rappresenta un insostituibile alleato in Medio Oriente. Né l’America né l’Europa, e neppure Israele, sono del resto interessate ad abbattere il nemico Assad, secondo il cinico detto «meglio il diavolo che conosci dell’angelo senza volto».Una Siria senza più il suo uomo forte sarebbe una minaccia per la stabilità dell’intera regione, a cominciare dal Libano, e aggraverebbe lo scontro tra sunniti e sciiti in tutta l’area. La Lega araba alza i toni e s’appresta a riconoscere il Cns, il Consiglio nazionale siriano che raggruppa l’opposizione, ma si guarda bene dall’intervenire militarmente. La Turchia di Erdogan lo farebbe volentieri, ma s’accontenta di dare rifugio e supporto logistico ai disertori dell’esercito di Assad.Tutti dicono che il tiranno di Damasco è destinato a cadere, ma al tempo stesso ne temono le conseguenze. E nello scontro sempre più sanguinoso tra il dittatore e i ribelli,a finire stritolati sono i cristiani, minoranza religiosa che ha goduto della protezione di Assad, leader alawita odiato dalla maggioranza senza potere dei sunniti. L’uccisione pochi giorni fa di un prete ortodosso ad Hama, la roccaforte della ribellione, segna un punto di svolta inquietante nella tragedia siriana, dove regime e opposizione s’accusano reciprocamente del misfatto.In Siria vittime e carnefice sembrano avvinghiati in un abbraccio mortale. Tocca alla comunità internazionale separarli, costringendo il tiranno a lasciare il potere e spingendo l’opposizione a diventare una forza responsabile, democratica e tollerante. È un filo sottile, ma è l’unico cui i siriani possono aggrapparsi per non finire nel baratro.