mercoledì 21 gennaio 2015
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Era stato “commissionato” da una coppia australiana a una thailandese. Lei, ventunenne, per 12mila dollari aveva accettato di portare in grembo un figlio che avrebbe ceduto. Ma l’ecografia aveva mostrato due feti, e uno era Down; e, alla nascita, i “committenti” si erano portati a casa solo la gemella sana. La storia di Gammy, il piccolo Down rifiutato come si lascia un cucciolo malato in un allevamento, aveva fatto un anno fa il giro del mondo. Ieri i giudici australiani, accogliendo la richiesta della mamma thailandese, hanno concesso al bambino la cittadinanza – giacché, hanno detto, australiano è il padre biologico. Non è cosa da poco: “cittadinanza” significa anche accesso alle cure mediche, e Gammy, che è cardiopatico, ne avrà molto bisogno. Le foto delle ultime ore lo mostrano in braccio alla madre che lo ha partorito e accolto. La commozione ha generato una ampia solidarietà, e sono stati raccolti 240mila dollari. Tutto è finito bene, dunque?Per il bambino che è riuscito a nascere, che ha una madre e sarà curato, forse. Ma il caso ha come sollevato un coperchio sulle maternità surrogate, che ora in Thailandia sono vietate. Prima di Gammy, partorire un figlio per altri, laggiù, era lecito: si coniugava la domanda dei Paesi ricchi con la povertà di molte thailandesi, e la cosa pareva accettabile. Solo il caso del figlio “difettoso” ha svelato la disumanità del contratto. Si è appreso poi che il padre “acquirente” è indagato per atti di pedofilia; e che un altro cittadino australiano avrebbe pagato ben 13 madri surrogate per avere altrettanti figli. Ulteriori ombre, e sempre più gravi, si addensano dunque attorno alle gravidanze su commissione, finora difese da solerti paladini in ossequio alla filosofia del “diritto a un figlio”.Diritto? Quello vero, la Legge, come spesso capita in questa materia arriva tardi: cercando, con la concessione della nazionalità, di sanare il sanabile. Cercando di raddrizzare in extremis una storia sbagliata. Non era già evidente che qualcosa che non andava, in una madre povera “affittata” da dei ricchi? Solo lo scarto del prodotto imperfetto ha chiarito quale fosse, l’animo dei committenti. Ora Gammy, figlio di una donna povera, rispedito al mittente, si ritrova il prezioso passaporto di un Paese del Primo mondo. Ma ci si chiede quante ancora ce ne vorranno, di storie simili, per far capire che una madre non è una macchina, e che un figlio non può avere un prezzo – come non ne ha, mai, un uomo.
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