Fermare subito questa guerra per farle finire proprio tutte
martedì 12 aprile 2022

Nodi di oggi e di domani, volto mutato della pace, rette coscienze Caro direttore, «È dunque profondamente mutato il volto di ciò che fino ad ora è stato chiamato 'guerra' e, di conseguenza, non può non mutare il volto di ciò che si continua a chiamare 'pace'». Con questa espressione, una Nota della Commissione Ecclesiale Giustizia e pace della Cei del 1998 ('Educare alla pace'), prendeva coscienza che i conflitti stavano ormai lasciandosi alle spalle le caratteristiche proprie della ideologizzazione e si avvicinavano sempre più al vissuto della gente. Per questo risultava urgente una educazione alla pace, che ripensasse i nessi tra pace, giustizia, solidarietà e la questione delicatissima della corsa agli armamenti.

Oggi dobbiamo riconoscere che il volto mutato della guerra non ci trova sempre 'preparati' nell’affrontare questioni che papa Francesco sta trattando invece con evangelica 'parresia'. Quattro questioni, in modo particolare, interpellano la coscienza collettiva: i nuovi equilibri della geopolitica in cui l’Europa con fatica afferma scelte unitarie, la Nato estende il suo campo di influenza, l’Onu non riesce ad imporsi come arbitro di dialogo; la corsa agli armamenti, che in questi anni è cresciuta in maniera silente; la questione energetica, che si sta rivelando decisiva per le sanzioni, e che sembra aggiungere a 'quel tutto è connesso' della Settimana sociale di Taranto, oltre che 'ambiente e lavoro', anche la pace; lo stile della nonviolenza.

La nostra coscienza viene chiamata in causa perché la guerra di aggressione e la legittima difesa hanno i loro costi umani e aprono profonde ferite nelle coscienze e nelle relazioni tra i popoli. Nelle nostre comunità si è tornato a pregare per la pace con convinzione e a riflettere su questi temi, forse finora relegati alla celebrazione della Giornata mondiale del 1° gennaio o affidati alla sensibilità di gruppi che hanno mantenuto viva l’attenzione sugli stili di vita nonviolenta, sulla lotta alla corsa agli armamenti. Forse abbiamo anche avvertito un sano disagio quando qualcuno – anche e soprattuto da queste pagine di 'Avvenire' – ci ha ricordato che gli altri conflitti nel mondo non hanno richiamato la stessa attenzione, o che l’accoglienza così generosa dei fratelli ucraini, ha superato di gran lunga quella che tanti di noi danno a chi fugge da annosi conflitti.

Rimettere le questioni della pace e della guerra al centro, significa maturare un pensiero che sia lievito nella nostra società civile e nelle scelte politiche di coloro che molto facilmente sono stati abbagliati da movimenti nazionalistici che hanno frenato una strategia diplomatica che è quella del dialogo e non dello schieramento che fomenta il conflitto. Ci sarebbe da chiedersi se 'la debolezza' dell’Onu e quella di una Europa nella quale si va in ordine sparso, non poteva essere invece rafforzata da scelte che, già all’interno degli Stati, mettesse al primo posto la questione degli equilibri geopolitici, piuttosto che quella dei vantaggi a stare fuori dall’Europa! Ci si educa alla pace, se ci si educa a una politica che supera i sovranismi e costruisce alleanze e stili di dialogo che poi si rivelano virtuosi nei tempi di guerra.

Ci si educa alla pace se con chiarezza si mettono al bando le armi nucleari e si afferma che il disarmo è una questione di politica internazionale di capitale importanza, perché, come ha ricordato Giovanni Paolo II all’Onu nel 1985, esso può essere efficace se è «generale, equilibrato e controllato»: quando una di queste caratteristiche viene meno, si cade in una corsa subdola agli armamenti. Ci si educa alla pace se la questione energetica va oltre l’urgenza di non finanziare indirettamente un conflitto, ma ci fa intravedere il pericolo di guerre che perseguiranno in maniera più o meno manifesta, l’obiettivo di appropriarsi di fonti energetiche. Ci si educa alla pace, se nei nostri stili di vita ritorna la nonviolenza, che rivela una singolare capacità di provocazione, nella quale «l’uomo nonviolento non distoglie il volto dalla brutalità dell’oppressione, ma nemmeno si fa trascinare nella logica che lo vuole nemico perché altri lo hanno definito tale» ('Educare alla pace', 13).

Ci si educherà alla pace, se si rinnoverà quella bella esperienza nata alla Settimana sociale di Taranto, dove i giovani, in un’alleanza mondiale, stanno diffondendo una cultura della sostenibilità, che non potrà non coniugarsi con quello del disarmo e della nonviolenza. Educare alla shalom è l’investimento più grande da fare negli stili di vita, nelle nostre comunità, nella politica. Si vis pacem, para pacem.

Arcivescovo di Catania, presidente della Commissione giustizia, lavoro, salvaguardia del creato e pace della Cei e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani

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