sabato 29 gennaio 2011
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La discussione sui decreti attuativi del federalismo fiscale, che si svolge in un clima politico che sarebbe eufemistico definire convulso, rischia di avvitarsi in una logica bizantina, nella quale i contenuti della riforma rimangono sullo sfondo a vantaggio di opposte strumentalizzazioni politiche.Il tema in discussione in questi giorni è la potestà fiscale dei Comuni, ed è stata la centro di una trattativa dell’esecutivo con l’associazione che riunisce i municipi italiani, che si è conclusa con un sostanziale accordo. Questo, naturalmente, non impegna i partiti, come pensa Roberto Calderoli, ma forse consentirà al governo di emanare il decreto specifico anche in assenza di un parere favorevole dell’apposita Commissione bicamerale, cui formalmente compete solo una funzione consultiva. Si discuterà molto, naturalmente, su questo passaggio procedurale, il che è giusto, a patto che non metta in ombra i contenuti di merito, la cui valutazione peraltro è resa complessa da un serie di fattori tecnici.I Comuni si sono trovati in mano, a causa della situazione politica, un potere contrattuale sovradimensionato, e ne hanno fatto, dal loro punto di vista, buon uso. La potestà fiscale dei municipi ne è risultata largamente accresciuta, i tetti previsti per le imposizioni sulle tasse comunali, a cominciare da quella sui servizi, sono stati elevati così come la possibilità di introdurre, perfino retroattivamente, addizionali locali sui tributi nazionali. Il rischio che si corre, se tutte queste imposizioni verranno messe in atto in modo generalizzato e simultaneo, è che il federalismo produca un aumento del carico fiscale invece della sua promessa graduale riduzione. Il ministero del Tesoro, per la verità, sostiene che le imposizioni decentrate sostituiscono altri carichi per più di 10 miliardi, il che eviterebbe la paventata crescita del carico fiscale globale, ma, almeno sul piano della percezione, è evidente che il federalismo tende a trasformarsi da una promessa in una minaccia (di «stangata»).La Lega Nord, che al federalismo ha legato la sua fortuna politica, dovrebbe trarre argomento di riflessione da queste circostanze e rendersi conto che più dell’urgenza di portare a casa un provvedimento in fretta dovrebbe concentrarsi sulla sua effettiva efficacia e sul modo in cui essa verrà accolta dalla popolazione.Naturalmente esiste anche l’altra faccia della medaglia. Le amministrazioni locali che disporranno di una più ampia possibilità di scelta sul reperimento delle entrate saranno anche più responsabili di fronte ai cittadini, che potranno misurare meglio il rapporto tra servizi erogati e contributi richiesti. Da questo punto di vista, l’ampliamento delle possibilità di autogoverno locale, finora soffocato dalla finanza derivata, potrebbe innescare un circolo virtuoso, che però non è certo garantito in partenza.Probabilmente con la collaborazione di tutte le parti interessate si sarebbe potuto perfezionare la strumentazione tecnica, in modo da minimizzare i rischi e ampliare le potenzialità della riforma che invece, varata nel clima politico peggiore che si potesse immaginare, resta, nella migliore delle ipotesi, un’incognita.
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