Fare presto anzi subito
sabato 12 febbraio 2022

Lo aveva detto con chiarezza un anno e mezzo fa il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. «Chi afferma che è un’esagerazione l’allarme che abbiamo lanciato sui rischi che le mafie facciano affari sulla ricostruzione post-Covid, evidentemente non riesce a guardare con chiarezza qual è l’attuale situazione. L’infiltrazione delle mafie nell’economia è evidente, diffusa». No, non era un’esagerazione quel monito dalle pagine di 'Avvenire' e lo confermano due notizie degli ultimi giorni.

Giovedì, in Commissione Bilancio del Senato, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Ruffini ha denunciato frodi su bonus e superbonus per 4,4 miliardi di euro, realizzate da «organizzazioni criminali ramificate su tutto il territorio nazionale». Fondi per rilanciare l’edilizia e per contribuire alla lotta all’inquinamento ambientale, ma che in parte hanno inquinato l’economia. Mafie? Già due inchieste lo hanno accertato. Quella della procura di Perugia, che vede coinvolti personaggi legati alla camorra, e

quella della Dda di Catanzaro, dove compaiono i clan ’ndranghetisti del Crotonese. Gli stessi che sono protagonisti dell’operazione di ieri della Dda di Milano sui subappalti per la manutenzione della rete ferroviaria italiana gestita da Rfi Spa. Non piccoli lavori ma «un sostanziale monopolio», in Calabria, Sicilia, Campania e «in tutto il Nord Italia», come si sente in un’intercettazione. Una presenza inquietante in un settore strategico che, oltretutto, sarà beneficiario di non pochi fondi del Pnrr.

Non mafie con lupara e kalashnikov, ma – scrivono i magistrati milanesi – che «hanno dimostrato di sapersi inserire in modo spregiudicato in contesti imprenditoriali di rilevante spessore, riuscendo in breve tempo a diventare partner delle maggiori imprese operanti nel settore». Lavori e fondi pubblici diventano così facile preda delle mafie 2.0, quella del 'clic' e non del 'boom', grazie alle complicità di parte del mondo imprenditoriale e dei sempre più presenti colletti grigi, professionisti, commercialisti, consulenti, personaggi chiave, capaci di destreggiarsi tra soldi sporchi e benefici di Stato.

Ed è sempre più Nord. Proprio ieri la Guardia di Finanza di Verona ha sequestrato il patrimonio societario e le disponibilità economiche a un imprenditore reggino da tempo stabilitosi e operante nella provincia scaligera. Mentre a Trento è arrivata la prima condanna per mafia per le infiltrazioni della ’ndrangheta nel settore del porfido. «Le terre del Nord sono terre di mafia», era stato l’allarme su queste pagine, pochi giorni fa, del procuratore generale di Bologna, Lucia Musti. E allora ha fatto bene ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi a dire a proposito delle frodi sul superbonus che «se ci troviamo in questa situazione è perché si è voluto costruire un sistema con pochissimi controlli».

Eppure c’è chi sta protestando per i primi correttivi chiesti dall’Agenzia delle Entrate e approvati dal Governo. Non riconoscendo la gravità dei fatti. È la solita musica di chi, in nome della pur comprensibile richiesta di tempi rapidi nell’erogazione e nell’utilizzo dei fondi pubblici, pretende proprio l’allentamento dei controlli. No, non si può abbassare l’asticella, soprattutto per opere strategiche come le ferrovie o per gli investimenti necessari per uscire dall’emergenza.

Perché, ce lo ripete la storia, l’«emergenza» è sempre stata un grande affare per le mafie, dal terremoto del 1980, che produsse il salto di qualità della camorra, all’attuale pandemia. Un affare oggi sempre più efficiente, per una mafia che si muove coi soldi e le imprese, e che va sotto braccio con la politica e la burocrazia

Senza quei controlli auspicati da Draghi tocca poi alla magistratura intervenire. Ma è sempre dopo, e spesso tardi. Basti pensare che dei 4,4 miliardi frodati, più della metà sono già stati incassati e sarà molto difficile, se non impossibile, recuperarli. Davvero un bel regalo ai criminali mafiosi sempre più criminali economici.

E anche spregiudicati. Come emerso dall’inchiesta milanese gli operai delle imprese ’ndraghetiste erano «spesso privi di alcuna competenza e addirittura muniti di qualificazioni professionali false » e «fatti lavorare in condizioni di sfruttamento». Queste sono le mafie. Anche per questo vanno tenute lontane dai fondi e dalle opere pubbliche. Lontane dal sistema economico. Molto lontano. È questo che bisogna fare presto, anzi subito.

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