venerdì 24 maggio 2024
Il negazionismo tende a spostarsi dal fenomeno del cambiamento climatico in sé ai rimedi proposti. Dietro a molte campagne sui social media ci sono anche le compagnie petrolifere
Le nuove bugie sull'ambiente servono a bloccare le politiche per il clima

Przemyslaw Koch / Siciliani

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E se fossero i nostri stessi governi ad affamarci, distruggendo i raccolti per far crescere i prezzi del cibo, usando come scusa questa storia dei cambiamenti climatici? O se invece questo “climate change” sia solo un'espressione straniera che condanna a morte i nostri valori culturali? Le fake-news sui dati climatici, il complottismo sull’economia circolare, la diffidenza per la scienza ufficiale: le bufale su tutto ciò che riguarda le motivazioni di una quanto mai più urgente rivoluzione socio- economica in favore della sostenibilità sono ancora diffuse. Secondo un rapporto della coalizione Climate Action Against Disinformation (CAAD), la disinformazione online sui cambiamenti climatici continuano a prosperare. Nell'ultimo anno, secondo la ricerca, i post con l'hashtag #climatescam (“truffa climatica”) hanno ottenuto più like e retweet sulla piattaforma social X rispetto a quelli con #climatecrisis o #climateemergency.

Tra i motivi principali di questo successo della propaganda negazionista sui cambiamenti climatici ci sono il grande appeal delle fake news, il ruolo delle echo chambers (le camere dell’eco), la spinta consapevole alla disinformazione promossa dalle lobby delle energie fossili. Ecco ad esempio perché la metà degli statunitensi non crede che i cambiamenti climatici siano legati all’attività dell’uomo, e il 15% tra loro è addirittura convinta che ci sia una grande cospirazione dietro l'azione climatica. Tutto ciò nonostante il 99% dei climatologi a livello mondiale affermi che il cambiamento climatico sia reale e causato dall’uomo, così come ha ribadito la più alta autorità scientifica al mondo sul tema climatico: l’IPCC.

E se il problema fossero proprio loro, gli esperti? Se quest’ansia climatica non fosse altro che colpa degli scienziati del clima che hanno interessi a noi ignoti per diffondere dati falsi, non sarebbe giusto metterli a tacere nel mondo digitale inondandoli di insulti? Secondo il rapporto di CAAD, circa il 73% degli scienziati del clima che appaiono regolarmente sui media ha subito attacchi online. È parte del problema dell’oggettività informativa, oggi sempre più parziale nel mondo digitale. Spiega Emma Frances Bloomfield, docente dell’Università del Nevada in Texas, che molte persone fanno leva su informazioni cospirazionistiche dato che «dubitano del cambiamento climatico perché dubitano delle autorità scientifiche. Prendono decisioni sull'ambiente non in base ai fatti o alla scienza, ma in base ai loro valori o ad altre cose che sono importanti per loro». E infatti, come spiega la scrittrice Naomi Klein, «non è l'opposizione ai fatti scientifici del cambiamento climatico a guidare il negazionismo, ma l'opposizione alle implicazioni concrete di questi fatti». Segue Bloomfield: « Nella storia del cambiamento climatico, noi siamo i cattivi, o almeno parzialmente colpevoli di ciò che sta accadendo all'ambiente, e questo ci impone di fare molti sacrifici: è più comodo proporre il dubbio che la certezza».

Molto dipende dalle proprie convinzioni politiche. Al giorno d'oggi, tutto ciò che suona ambientale o sostenibile è identificato come “verde”, e per molti partiti conservatori il “green” è una forma di “rosso”, inteso come identità di una fazione politica sinistroide. È quindi più semplice identificare il “green” come vessillo di un nemico da sconfiggere piuttosto che di un problema da risolvere. Ecco uno dei motivi della popolarità delle fake news sul clima: strumenti oggi comuni per diffondere le idee che stanno minando la lotta contro i cambi climatici, secondo quanto riferisce la Royal Swedish Academy of Science.

Nel 2023 compagnie petrolifere come Shell, ExxonMobil e BP hanno speso tra i 4 e i 5 milioni di dollari in annunci su Facebook relativi a temi sociali e politici, secondo quanto riporta CAAD. Se però qualche anno fa i negazionisti erano chiamati tali perché negavano l’esistenza del climate change, oggi invece cercano di screditare le politiche e le soluzioni necessarie per affrontare la crisi climatica. Il Center for Countering Digital Hate ha conteggiato i messaggi del “nuovo negazionismo” che, come riporta il sito Scienza in rete, sono passati da un 35% del totale nel 2018 a un 70% nel 2023. Al contempo, quelli relativi al “vecchio negazionismo” variano dal 65% al 30%. Non si tratta solo della spinta pubblicitaria ad idee avverse alla sostenibilità: parte del problema della persuasione è il fascino genuino delle fake news. Infatti, un altro studio pubblicato su Nature Human Behavior rivela che la disinformazione sul cambiamento climatico è più persuasiva dei fatti scientifici.

Perché? Gioca con le emozioni delle persone e coinvolge elementi di appartenenza sociale legati alla propria psicologia. Infatti, le convinzioni ideologiche creano disaccordo sulla percezione della crisi climatica e il disaccordo causa la sfiducia nei dati scientifici relativi al cambiamento climatico. A questi elementi si sommano difficoltà oggettive: ad esempio, la conoscenza di un quadro complesso per analizzare a fondo le sfide della sostenibilità. Oppure il fatto che le massicce alterazioni del clima non hanno un impatto sulla percezione quotidiana. E per risolvere queste problematiche l’intelligenza artificiale non sarà di grande aiuto: « Abbiamo già un problema enorme di disinformazione», afferma Lauren Cagle, docente di retorica e studi digitali all'Università del Kentucky. « I modelli linguistici di grandi dimensioni come ChatGPT sono sul punto di farlo esplodere ancora di più». Infatti, alcuni ricercatori dell'Università del Wisconsin- Madison hanno scoperto che il tipo di informazioni fornite da GPT-3 dipendeva dall'interlocutore.

Per i conservatori e le persone meno istruite, l’IA generativa tendeva a usare parole associate a emozioni negative e a parlare degli effetti distruttivi del riscaldamento globale. Per coloro che sostenevano il consenso scientifico, era più probabile che parlasse di cosa si può fare per ridurre l'impronta di carbonio, come mangiare meno carne o andare in bicicletta. Insomma, il chatbot tendeva a compiacere le inclinazioni dell’interlocutore: qualcosa di simile a come funzionano i feed sulle pagine social. Nonostante questi difetti, l'uso dei chatbot per aiutare le persone a conoscere i cambiamenti climatici può avere dei lati positivi. In una normale conversazione tra esseri umani sono in gioco molte dinamiche sociali, mentre all’IA generativa è riconosciuta un’oggettività che nessun uomo potrà incarnare. E poi da poco esiste un chatbot che mira specificamente a fornire informazioni di qualità sul cambiamento climatico: si chiama ClimateGPT, un modello linguistico open-source di grandi dimensioni che è stato addestrato su studi e dati relativi al clima.

Oltre all’intelligenza artificiale, sarà utile sdrammatizzare. Come spiegava in un convegno organizzato dal Centro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici John Cook, esperto di scienze cognitive presso il Melbourne Centre for Behaviour Change, i giochi e l'umorismo applicati al pensiero critico sono strumenti potenti per riconoscere e smontare le tecniche retoriche: « Le persone capiscono meglio e di più se sono coinvolte nel pensiero critico. Una delle tecniche più efficaci è quella di coinvolgere attivamente le persone, con app e giochi per smartphone, e renderle protagoniste delle attività necessarie a smascherare il negazionismo».

Un altro approccio promettente è il “deep canvassing”, che cerca di persuadere le persone attraverso conversazioni individuali e non giudicanti. Questo metodo consiste nell’ascoltare le preoccupazioni delle persone e aiutarle a elaborare i loro sentimenti contrastanti. Parlare di fatti locali e di persone che si conoscono davvero aiuta anche i potenziali negazionisti ad aprirsi al dialogo. Per questo ottenere informazioni da amici, familiari e altre persone fidate può essere davvero utile come conclude Bloomfield: « Non sono necessariamente autorevoli come l'IPCC, ma ti aiutano a connetterti con quelle informazioni: ti fidi di quella persona, quindi ti fidi delle informazioni che sta condividendo». Il buon vecchio dialogo umano, che proprio all’alba della quarta rivoluzione industriale rimane necessario e sempre più utile per superare gli steccati ideologici issati perfino su temi di interesse assoluto: come il futuro dell’umanità.

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