venerdì 14 novembre 2014
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A forza di stropicciarle, le parole si consumano. E logorare con l’uso inappropriato o leggero termini che compongono il dizionario base della nostra vita – libertà, amore, diritti, giustizia, famiglia, pace, uguaglianza, discriminazione... – è un’operazione che non è affatto priva di conseguenze. Perché la chiacchiera vana, l’alterazione superficiale del senso, il camuffamento delle vere intenzioni sotto una studiata nebbia semantica fanno evaporare i significati nativi. E rischiano di svendere un intero mondo di concetti con i quali non sarebbe il caso di baloccarsi. Prendete il dono: associata a sole quattro lettere, c’è l’idea rivoluzionaria della gratuità, lo stravolgimento della logica da compravendita che sempre insidia le relazioni umane realizzato nel nome di una disinteressata generosità: si dà per la volontà stessa di dare, senza attendere nulla in cambio, e dunque facendo saltare la legge plumbea del commercio. Donare è a tal punto saldato a ciò che dà forma alla natura umana da costituire il gesto dal quale dipende la nostra stessa esistenza. La vita non nasce per onorare un contratto, o lucrare un guadagno: si viene al mondo come frutto di un dono puro e semplice, e non occorre la fede per capirlo. Se si ragiona in termini mercantili, o quando ci consideriamo legittimati ad accampare pretese sugli altri trasformandoli in oggetto di presunti diritti (come se fossero una forma di umanità subalterna alla nostra), il dono sparisce, e resta l’incrocio di domanda e offerta: è la borsa, il mercato, e per favore non chiamatelo dono. La parola, e il concetto così delicatamente umano che custodisce come un tesoro, sono troppo preziosi per essere costretti a vestire panni di un’altra taglia. Veder trasfigurato il dono in qualcosa che non c’entra nulla, ed è anzi il suo opposto, non annuncia niente di buono. E dovrebbe semmai insospettire. Evocare il concetto di dono quando si parla di reperimento di gameti per la fecondazione eterologa è un’operazione che ha in sé una contraddizione. Il figlio è frutto di un dono che ha la sua origine intoccabile nell’amore reciproco tra un uomo e una donna, madre e padre. È questa la forma pura del dono, il suo prototipo, del quale abbiamo tutti esperienza personale: sappiamo che cos’è, anche senza saperlo nominare. La nuova vita prende forma dalla materia prima maschile e femminile, i gameti, che materializzano il dono di sé a un altro. Un dono a tal punto totale da essere in grado di dar vita a un nuovo uomo, destinato a restare come suo segno, anche nei caratteri somatici. Questa è la nostra natura, e chi cerca di alterarla finisce per doverci sempre fare i conti. Prova ne sia che finalmente si comincia (timidamente...) a prendere atto che in Italia nessuna donna vuole donare i propri ovociti, e nessun uomo il suo seme, per dar la vita a un bimbo che la tecnica dell’eterologa renderà figlio d’altri ma che resterà per sempre "mio figlio", per quella metà che proviene da me. Il senso della filiazione e della maternità-paternità non è un accidente culturale destinato a essere rottamato da mentalità e costumi mutati, ma la struttura più intima della nostra umanità. Di chi siamo figli? Chi abbiamo generato? Impossibile sottrarsi a queste domande, che restano incise nella mente e in ogni nostra cellula. Non c’è campagna d’opinione, sentenza o volontà politica che tenga. Quella dei gameti per l’eterologa non è e non può essere donazione – se non in casi assolutamente singolari – ma commercio: se vuoi un ovocita, o una provetta di seme, devi pagare. Solo una congrua retribuzione, e uno stato di necessità, possono silenziare (per quanto tempo, e quanto profondamente, non sapremo mai) la voce che sgorga dalla piega più intima del nostro essere. Dopo i primi proclami, in Toscana – l’avanguardia delle Regioni pro-eterologa – hanno preso atto che nessuno "dona" quel che dà la vita a un figlio: per soddisfare la domanda, alimentata dall’irresponsabile concetto che il figlio sia un «diritto incoercibile» (nemmeno fosse una proprietà), si deve importare dall’estero, pagando 2.800 euro per ovocita e 400 per campione di sperma. Questo dice il mercato. Non chiamatelo dono. Mai più.
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