venerdì 14 giugno 2013
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Siamo alla terz’ultima tappa di un estenuante cammino verso una maggiore giustizia nell’erogazione delle prestazioni sociali alle famiglie. Ieri, infatti, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato lo schema di decreto di revisione dell’Isee – lo strumento con il quale si misura la ricchezza reddituale e patrimoniale dei nuclei – che dovrà passare ora al vaglio consultivo delle commissioni parlamentari e poi all’approvazione finale in Consiglio dei ministri. Un sentiero di revisione che ci ha portato in una posizione migliore rispetto a quella in cui eravamo con il "vecchio Isee". Certamente, però, non ancora alla vetta. Non a quella tanto auspicata equità – fiscale, sociale – che non si esaurisce in una semplice neutralità dello Stato rispetto alle diverse situazioni, ma rappresenta la capacità dell’amministrazione pubblica di cogliere le fragilità da portare in sicurezza, le potenzialità inespresse da far maturare, le risorse da non dissipare e da valorizzare. E oggi la famiglia questo è e questo porta in sé: forza e fragilità, opportunità, un bene comune a rischio eppure enorme.Se si guarda al cammino compiuto, spiccano alcune "pietre miliari" raggiunte. A cominciare dai maggiori controlli anti-furbetti, quei finti poveri che, ad esempio, chiudevano il conto corrente a Natale per riaprirlo alla Befana e saltare così la scadenza del 31 dicembre, alla quale si registrava la situazione dei patrimoni mobiliari. E finalmente non sarà più possibile – almeno per le prestazioni dei servizi ai minorenni – fingersi ragazze-madri solo perché il convivente mantiene la residenza in un’altra abitazione. Ora i redditi verranno sommati comunque se i genitori hanno riconosciuto il figlio, scongiurando ad esempio "sorpassi" ingiusti nelle graduatorie di ammissione ai nidi. E ancora, la nuova suddivisione delle situazioni di disabilità in tre categorie (media, grave e non autosufficienza), ancorché da sperimentare, dovrebbe rivelarsi funzionale a garantire una migliore tutela delle situazioni di effettiva difficoltà. Utile, infine, la possibilità di poter presentare in ogni momento un "Isee corrente" al verificarsi di eventi particolari, come la perdita del lavoro.Ciò che invece sembra ancora lontano all’orizzonte è l’equo trattamento delle famiglie con più figli. Anzitutto perché le franchigie previste su reddito e patrimonio immobiliare prevedono sempre dei tetti massimi, perpetuando l’errore di trattare allo stesso modo situazioni differenti: la coppia con un figlio come quella con cinque bambini. Ma soprattutto perché la scala di equivalenza individuata ha una bassa progressione, cioè è scarso il "peso" attribuito ai diversi componenti il nucleo, la cui somma forma il quoziente in base al quale vengono divisi reddito e patrimonio di una famiglia. Nel nuovo schema Isee, infatti, i figli "valgono" da un massimo di 0,47 punti a un minimo di 0,35 dal quinto in poi (per situazioni particolari sono previste maggiorazioni). Nel quoziente in vigore in Francia, invece, si va da 0,5 per il primo e secondo figlio a 1 punto per gli altri. Anche nel sistema sperimentato a Parma (e purtroppo cancellato dalla giunta Cinque Stelle) si andava da 0,6 a 0,8 punti. Non è una semplice questione di qualche decimale in più o in meno, ma il riconoscimento che le "economie di scala" che una famiglia può realizzare all’aumentare del numero dei componenti non sono così significative, perché molte spese – ad esempio quelle relative all’istruzione – sono incomprimibili per ogni figlio. E, d’altro canto, è sufficiente osservare la forte progressione dell’indice di povertà relativa delle famiglie all’aumentare del numero dei componenti – dal 6,7% di single poveri si passa all’11,7% con un figlio, al 28,5% con tre o più figli – per rendersi conto che le equivalenze sono ben altre.Prima della tappa definitiva in Consiglio dei ministri, allora, c’è ancora la possibilità di introdurre qualche correzione. Perché, come insegnava don Lorenzo Milani: «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali». Si finisce per sottrarre possibilità ai più deboli e al tempo stesso impoverire tutta la società.
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