sabato 25 luglio 2015
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​La guerra al Califfato, quella vera, è cominciata. Dopo lunghi mesi di ambiguità, viziati da molti sospetti, la Turchia si è finalmente mossa in armi contro lo Stato islamico con un’azione militare condotta dall’aviazione di Ankara al confine siriano, «primi passi per combattere l’Is», come ha dichiarato il presidente Erdogan, «che continueranno nel futuro». Il risultato, 35 jihadisti uccisi e oltre 290 arresti in tutta la Turchia in un blitz antiterrorismo, lascia pochi dubbi. Contemporaneamente Erdogan ha annunciato che la base aerea turca di Incirlik (la più grande della regione, la stessa che nel 1991 venne utilizzata dagli americani nella Prima guerra del Golfo contro Saddam Hussein) potrà essere impiegata dalla coalizione anti-Is – se pure «a certe condizioni» – a conferma dell’impegno assunto dopo una telefonata con Barack Obama per combattere insieme contro la minaccia del califfo nero. Che cosa è cambiato rispetto al passato? La strage di Suruc, il terribile attentato kamikaze contro i volontari curdi che stavano per iniziare un programma di ricostruzione della città di Kobane lungo il confine siro-turco, ha certamente rimescolato le carte e indotto Erdogan a passare, come scrivono i giornali di Ankara, «da una strategia passiva alla difesa attiva». Ma la "conversione" del presidente turco ha motivazioni più urgenti e molto meno ideali di quanto non potrebbe sembrare. Perché il principale problema di Erdogan, o meglio il suo nemico numero uno, non è l’Is, ma sono proprio i curdi. I curdi siriani che guadagnano terreno nella guerra di posizione contro il Califfato, i curdi che accusano il governo centrale di Ankara di avere troppe volte passato armi e logistica ai jihadisti anti-Assad, gli stessi curdi che tramite la più radicale delle loro formazioni politiche, il Pkk turco, si sono resi responsabili di atti di insurrezione e di attentati contro le forze dell’ordine turche. Non a caso nell’azione antiterrorismo iniziata nel Paese con un’ondata di arresti in sedici città Erdogan non fa distinzione fra jihadisti e partigiani del Pkk.Ma a togliere il sonno a Erdogan sono anche i curdi sul fronte politico interno: perché è stato il successo dell’Hdp, il Partito democratico del popolo di Selahattin Demirtas – una sorta di versione curda di Syriza – a infliggere nelle recenti elezioni politiche uno schiaffo memorabile alle ambizioni di Erdogan, facendo perdere all’Akp (il partito di ispirazione islamica che si proclama moderato) la maggioranza assoluta che deteneva dal 2002. Tanto che, fino a questo momento, ancora non c’è una maggioranza di governo ad Ankara. In compenso c’è il risveglio di un ingombrante vicino come l’Iran, rimesso prepotentemente in gioco dall’accordo sul nucleare stipulato con la comunità internazionale, un player regionale che insidia da vicino il primato che Erdogan ha a lungo perseguito nel suo sogno neo-ottomano, e che ripresentandosi sul proscenio mediorientale ha l’effetto di ridare fiato all’altro acerrimo nemico della Turchia, quel Bashar al-Assad da sempre vicino a Teheran che invano Ankara ha cercato di annientare arrivando perfino – i sospetti (e certe prove documentali) sono pesanti – a finanziare l’Is.Infragilito dalla perdita di consenso, impossibilitato a rimanere inerte di fronte agli attacchi sul suolo turco, preoccupato per l’isolamento internazionale che la sua deriva autoritaria aveva finito per suscitare, Recep Tayyp Erdogan, l’uomo che si credeva un sultano intoccabile, il politico che aveva vinto plebiscitariamente tre elezioni confermandosi il leader turco più amato dopo il padre della patria Kemal Atatürk , ora si trova a fare i conti con la realtà, anzi, con il realismo che la politica impone. Sicuramente approfitterà delle operazioni anti-Is per mettere la mordacchia ai curdi di casa sua, né ci si deve illudere su una sua conversione verso una gestione del potere più democratica: se tende la mano a Obama è solo per convenienza e per il timore di scivolare nell’irrilevanza. Ma – come già Niccolò Machiavelli e Giambattista Vico teorizzavano – l’eterogenesi dei fini è più forte delle intenzioni umane. E la guerra contro il califfo dei tagliagole vale bene un sultano in affanno.
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