Eppure è ora di descalation
sabato 29 ottobre 2022

Anche se “vittoria” è manifestamente impossibile a russi o ucraini, l’escalation in terra d’Ucraina continua, investendo sempre di più l’intera Europa e il mondo. È una situazione che ci espone tutti all’abisso nucleare e, comunque, a un dissesto geopolitico senza precedenti. Ma può essere anche, paradossalmente, il momento migliore per far tacere le armi per il tempo necessario a trovare una soluzione. Una volta si sarebbe detto che è l’ora di un armistizio.

​Se gli sforzi in atto per raggiungerlo, molti di meno e di minor peso di quelli che dovrebbero essere posti in atto dalle vere “grandi potenze” sulla scena, raggiungessero il loro scopo, bisognerà però che poi gli occidentali non commettano con la Russia di Vladimir Putin lo stesso errore che commisero con l’Urss di Mikhail Gorbaciov. Gorbaciov era un uomo di pace. Ci ha garantito che il collasso dell’Unione Sovietica non portasse a una catastrofe bellica e nucleare sul suolo d’Europa. Se l’Occidente fosse stato più generoso con lui non avremmo avuto Eltsin, gli oligarchi, e, come risposta di stabilizzazione del “mondo russo”, Putin.

Le cancellerie occidentali non hanno voluto o saputo (per dolo o per inadeguatezza) consentire una reale integrazione europea della Russia (cosa forse ancora possibile con il Putin del 2000, non certo con quello del 2008 come si è sostenuto anche nei giorni scorsi). Hanno così creato un contesto in cui, in assenza di una visione europea dall’Atlantico agli Urali, non è stato possibile chiudere per davvero la “guerra fredda”. Neanche il grumo di interessi generato dalla forte integrazione energetica di diversi Paesi del Vecchio Continente al sistema russo (a cominciare da Germania e Italia, oltre che dalla stessa Ucraina) ha spinto in questa direzione.

Ora abbiamo davanti una nuova possibile catastrofe del “mondo russo”. Perché Putin ha di fatto perso la guerra. L’ “operazione speciale” è sostanzialmente fallita. Per questo, al di là dei suoi demeriti, non va ripetuto l’errore che abbiamo fatto con Gorbaciov. È tempo di offrirgli una via d’uscita, non per lui ma per la Russia. Dopo Kissinger, in America, dove ci sono meno “atlantisti” duri e puri che da noi, anche Obama ha fatto notare i rischi della corda tesa su cui sta ballando l’Amministrazione Biden, già suo vice. E ha formulato espliciti inviti a “concessioni” su Crimea e Donbass che tolgano ogni alibi a Putin per farlo sedere a un tavolo di pace. Il che non significa abbandonare Zelensky, ma fargli intendere che non può interpretare il sostegno dell’Occidente come avallo a ogni intransigenza e al rifiuto di chiudere la guerra.

Certo, Putin non è Gorbaciov – Obama che lo ha conosciuto a fondo lo sa bene – e allo stato delle cose non lo può essere. Ma una sua (inevitabilmente drammatica) uscita di scena potrebbe preludere a una situazione che potrebbe essere assai peggiore di quella generata dal crollo dell’Urss. Tendiamo perciò la mano, anche se pesa tenderla a chi ha offeso. La pace si fa per definizione con i “nemici”, a meno che non si pensi davvero di poterli sterminare. Un approccio che nel merito di questa guerra è una pericolosissima oscenità, che può solo portarci diritti nel baratro. Anziché far saltare un ponte in Crimea, capace solo di chiamare centinaia di bombe e missili su civili inermi in Ucraina, si provi a fare della Crimea un ponte per la pace, chiudendo il contenzioso con uno status internazionalmente riconosciuto della penisola. Si lavori alla neutralità di un’Ucraina nella Ue, ma non nella Nato, si assicuri l’autonomia delle regioni di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina, si assicuri al Donbass conteso sotto sovranità Ucraina uno statuto “altoatesino” per gestire il melting pot russoucraino che in quei territori si è storicamente realizzato, si avvii una simmetrica descalation delle sanzioni e dell’impegno militare russo nella regione, e si preveda un piano internazionale di ricostruzione.

Se, come si legge, nei territori ripresi dagli ucraini è cominciata la caccia ai “collaborazionisti”, questa è l’evidenza della guerra civile dimenticata ma aperta da otto anni tra pezzi della popolazione ucraina e russofona dello stesso Paese. È questo il punto vero da risolvere, con garanzie europee per una nuova convivenza.

Non ci sarebbe pace in Ucraina, neanche se Volodymyr Zelensky “vincesse” la guerra, e non ce ne sarà in questa parte d’Europa se non si sciogliesse questo nodo. Il diritto internazionale che serve è Trattati garantiti che garantiscano “vita”, pace e prosperità ai popoli in modo realistico per tutti gli attori coinvolti, non una “risorsa” strumentale a giochi geopolitici sulla loro pelle. La sconfitta di Putin non è un argomento contro, ma a favore del compromesso. Sbagliare una seconda volta sugli assetti dell’Est dell’Europa, consegnandolo al ruolo di succursale di confronti geopolitici globali, con prove di apocalisse nucleare, sarebbe diabolico.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: