martedì 5 ottobre 2010
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Qual è il segreto che attraversa l’azione pastorale di questo Papa? Che cosa e come riesce a comunicare alla gente che, subito intervistata a Palermo, ha espresso con commozione la gioia intima suscitata da questi incontri? Basta rileggere il contenuto dei suoi messaggi per scoprire con sorpresa ciò che si nasconde e si rende subito evidente dal tono caldo, profondo e coinvolgente del suo dire. Benedetto XVI infatti si è rivolto alle tante, tantissime, persone raccolte domenica mattina al Foro Italico Umberto I di Palermo, non con l’incedere solenne dell’autorità che dall’alto esprime le proprie convinzioni e proposte per il futuro personale e sociale dei siciliani. Il Papa ha scelto invece la strada più rischiosa, ma di sicuro la più efficace per entrare nel cuore del suo popolo: guardare negli occhi di ciascuno e di tutti e parlare in prima persona con l’umiltà del testimone e la forza del suo credere, rivolgendo i suoi pensieri ai tanti "tu" che l’ascoltavano.Io e tu: i pronomi personali che dicono fraternità, amicizia, sentire comune cioè, in nome di una singolare esperienza di fede, che ci vede tutti uguali, servi di Dio – come ha commentato nell’omelia – capaci di condividere «gioie e speranze, fatiche e impegni, ideali e aspirazioni», segnati dalla comune appartenenza all’unico Maestro e Signore. Dall’alto del suo magistero, il Papa non è andato a Palermo ad analizzare criticamente, a giudicare e a condannare i mali endemici dell’isola – la mafia, il malgoverno, l’indifferenza dei poteri istituzionali – ma si è rivolto, pari a pari, ai suoi uditori per confortarli e incoraggiarli, convinto che solo andando alla radice dell’anima, dove si custodiscono e crescono le convinzioni religiose, le ansie e le preoccupazioni per il futuro, è possibile ricostruire le ragioni di una fede generatrice di ethos condiviso.Nel discorso ai sacerdoti, come in quello rivolto ai giovani e alle famiglie, pressante è stato il suo appello a non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento e dalla rassegnazione – vere passioni tristi dei siciliani – radicandosi dentro il percorso affascinante e difficile della fede vissuta e amata, che diventa energia operativa, origine fontale della speranza, fortificazione nel bene e nella virtù pubblica della responsabilità e della giustizia.Nel pomeriggio, in una piazza Politeama stracolma di giovani e di famiglie, il Papa continua il suo dialogo intimo e fecondo esprimendo una straordinaria convinzione: io, vescovo di Roma, vengo a confermare i cristiani nella fede, ma torno a casa confermato a mia volta dalla vostra fede e dalla vostra speranza! Ecco svelato il segreto: Benedetto XVI sa parlare alle persone, riesce a stabilire un contatto nel profondo con il suo popolo anche perché, forte del messaggio da comunicare, diventa lui stesso messaggero, testimone di una fede vissuta che, tramite il circuito virtuoso della Grazia, si alimenta ogni volta che entra in comunione con l’altro. Non è questa l’autentica azione pastorale, quella cioè che non parla della fede, ma esprime la fede, la comunica in una pratica dialogica che coinvolge in modo personale tutti e ciascuno?Nessuna meraviglia perciò che i giornalisti di altre testate, che curiosamente andavano a spulciare notizie a effetto, del tipo: "niente accenno alla pedofilia?" oppure "il Papa ha detto poco contro la mafia!", siano rimasti a bocca asciutta. Molta più meraviglia che a fronte di un fatto vero, rotondo, "di massa" (anche se di una massa fatta di persone straordinariamente in dialogo tra loro) i giornali – con poche eccezioni – abbiano relegato la notizia della visita palermitana alle settime e dodicesime e diciannovesime pagine... Ma la verità – si sa – non si alimenta di chiacchiere, si nutre di fatti, di fiducia e di fermezza.
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