martedì 7 dicembre 2010
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Una domanda gira nel cervello dei lettori che sono padri o nonni, di fronte alle notizie sulla piccola Yara: potrebbe succedere anche alle nostre figlie? Alle nostre nipoti? Sì, potrebbe. Yara non era avventata, disobbediente, ribelle, avventurosa. Andava da sola, ma fino a seicento metri da casa, otto minuti a piedi. Era legata ai suoi, alle amiche, alla casa e alla palestra, andava dove c’era gente amica che l’attendeva. E poi, non era una ragazza, era ancora una bambina, o una quasi-ragazza, protetta dalla sua giovane età. E poi ancora, aveva sempre il cellulare in tasca, e il cellulare è come una corda che la tiene legata ai famigliari, a chi la protegge.Ecco, un errore è proprio questo: il cellulare si fece agganciare da una cella proprio nel momento in cui la ragazza spariva, poi non più. Se voleva dire qualcosa, la ragazzina non ha fatto in tempo. Dunque, il telefonino non basta. Tutti questi bambini, che vanno alla scuola media, ma ormai si comincia già dalle elementari, col cellularino multicolore in tasca o nello zaino, che perciò noi crediamo collegati a noi, in realtà non lo sono affatto. Vale per Yara, vale per Sarah. Il cellulare di Sarah ha fatto l’ultimo trillo nel garage, poi più nulla.Noi trattiamo i bambini e i ragazzi con una fiducia maggiore di quella che usiamo per i vecchi. La vecchia mamma, quando vive da sola, porta spesso al collo un apparecchio con un pulsantino, basta premerlo e il figlio risponde: «Cosa c’è mamma?». A volte la mamma chiama per niente, ma meglio una chiamata in più che una in meno. I vecchi hanno un incubo: essere colpiti da una disgrazia e non poter chiamare aiuto. L’apparecchio al collo scongiura questo pericolo. Se l’avesse avuto la madre di Simone De Beauvoir! Viveva da sola, in un appartamento col telefono appeso al muro ad altezza d’uomo, l’infarto la abbatté sul pavimento, da lì si trascinò al telefono ma non riuscì ad afferrarlo, la figlia arrivò con un giorno e mezzo di ritardo, e poi raccontò la sua fine in un libro che fece il giro del mondo col titolo: "Una morte dolcissima". È un titolo scandaloso. Chiedo ai lettori: se quella fu una morte "dolcissima", qual è una morte atroce?Nella storia di Yara, adesso si dà credito al testimone che dice di averla vista ferma al bordo della strada, tra due adulti, nell’ora della scomparsa. È stata agganciata? Non ha saputo svincolarsi? Succede spesso così. Nella memoria affiorano storie di ragazze, anche più adulte di Yara, che non han saputo svincolarsi dal pericolo, perché era troppo tardi. La cronaca è piena di ragazzine agganciate da sconosciuti ch’eran diventati amici da pochi minuti, nelle discoteche, nei villaggi vacanze, nelle stazioni. Càpita anche alle ragazze per bene. Anzi, più una ragazza è per bene, e meno è allertata su queste trappole: crede di vivere in un mondo per bene, come lei. Poi (parlo in generale, non per Yara), si accorge di essere in trappola dopo esser salita su un taxi abusivo (errore), dopo aver bevuto un bicchiere portato fino a lei da un amico e non da un cameriere (altro errore), dopo essersi allontanata dalle amiche (altro ancora), dopo aver sepolto il cellulare in fondo alla borsa (poi non fa in tempo a trovarlo), dopo aver imboccato una strada dove non c’è nessuno (nel buio ci può sempre essere qualcuno), dopo essersi fermata per cortesia con una persona sconosciuta ma gentile (si può dire all’inverso: gentile ma sconosciuta).Osservazione: ma questa era una tredicenne. Una volta pensavamo che una tredicenne fosse protetta dalla sua giovane età, perché credevamo che il male fosse cattivo. Dobbiamo ricrederci, dobbiamo allertarci. Non è protetta, perché il male s’è fatto più cattivo.
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