martedì 13 settembre 2011
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Se dovessi indicare la grundnorm, il principio fondante dell’integrazione europea, non avrei dubbi: la grundnorm dell’Europa è la solidarietà. L’ipotetica "legge delle leggi", sulla quale i padri fondatori posarono la prima pietra, è proprio il principio di solidarietà economica e sociale. Ad oltre mezzo secolo dall’opera di Adenauer, Schuman e De Gasperi, non possiamo dimenticare che molte conquiste come il mercato unico, l’euro, l’allargamento ai Paesi dell’ex blocco sovietico, sono il frutto di un preciso cammino compiuto nel solco della solidarietà. Negli ultimi tre anni la crisi finanziaria ha messo alla prova l’Europa e le sue certezze. Ma grazie alla moneta unica, nonché ai nuovi meccanismi di governance e ad un più stretto coordinamento delle politiche economiche e di bilancio, stiamo rispondendo efficacemente alle nuove sfide. In tale contesto gli antagonismi nazionali non sono più accettabili, soprattutto allorché riproducono uno scontro tra ricchi e poveri. Altro valore fondamentale dell’Europa, riconosciuto dal Trattato di Lisbona e dalla strategia Ue 2020, è l’economia sociale di mercato. Poiché il mercato non è il "fine" delle attività economiche, bensì è uno "strumento" di politica sociale. Per questo, sin dall’avvio del mio mandato, ho affermato la necessità di tornare all’economia reale. La grande finanza non produce nulla. È l’economia reale che crea e distribuisce la ricchezza prodotta, coinvolgendo centinaia di migliaia di Pmi e milioni di lavoratori. L’Europa è stata, e lo è tuttora, un modello economico e sociale. È una società aperta, multietnica, di 500 milioni di cittadini. "Esportare" i nostri valori significa essere partecipi, tutti, dei destini dell’Africa, della Somalia o di altre regioni del Pianeta sconvolte da conflitti in corso o, comunque, più sfortunate e più povere di noi. Del resto, l’Unione europea è stata creata per perseguire l’obiettivo politico della pace. E se è vero che il suo successo dipende dalle basi economiche su cui poggia, è altrettanto vero che nessun Stato membro è sufficientemente forte per lanciarsi da solo sul mercato globale. Un altro tratto distintivo dell’azione europea è l’applicazione del principio di condizionalità per la tutela dei Diritti umani. Proprio nel contesto europeo si è affermata la condizionalità della cooperazione allo sviluppo al rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. La Ue è il maggiore donatore a livello mondiale. Oltre la metà dei finanziamenti ai Paesi poveri proviene dall’Unione europea e dai suoi Stati membri che, nel 2010, hanno destinato 54 miliardi di euro in aiuti ai Paesi in via di sviluppo. I risultati non mancano. Tuttavia, resta molto da fare, ad esempio per la riduzione del tasso di mortalità infantile e per la fornitura di acqua potabile. Dal 2001, l’iniziativa europea "Everything But Arms" ha abolito i dazi e i contingenti su tutti i prodotti (ad eccezione delle armi) provenienti dai Paesi meno sviluppati. L’Europa è stata il primo blocco di Paesi industrializzati ad agire in tal senso. Sull’importante ruolo delle comunità religiose, nonché sulla centralità del dialogo interreligioso, permettetemi di spendere alcune parole. Lo scorso 2 giugno abbiamo organizzato e tenuto a Bruxelles un incontro con più di venti leader religiosi, in rappresentanza di ogni confessione. Nel corso di questa riunione abbiamo discusso, in particolare, del ruolo delle religioni all’interno della società civile e del loro contributo alla convivenza pacifica. Un altro importante tema trattato è stato quella della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, cui l’anno scorso abbiamo intitolato l’Anno europeo 2010. Una delle cinque priorità della strategia "Europa 2020" riguarda proprio la promozione dell’inclusione sociale, in particolare attraverso l’obiettivo di riduzione della povertà. A questo impegno programmatico corrisponde un’iniziativa concreta come la Piattaforma europea per la lotta contro la povertà, cui spetta il compito di integrare la dimensione sociale nelle diverse azioni comunitarie. In questo periodo di crisi economica la nostra principale e, oserei dire, la più importante delle priorità, è ripristinare la sicurezza sociale ed economica. A tal proposito, le Chiese e le comunità religiose forniscono un contributo determinante, sia attraverso l’incessante opera dei singoli sia attraverso l’impegno delle loro associazioni sul territorio. Se vogliamo combattere efficacemente la povertà, è essenziale servirci di questa antica esperienza. La lotta alla povertà è un compito che richiede la partecipazione di tutti – siano essi laici o esponenti religiosi – a livello locale, nazionale ed europeo. Concludendo, vorrei citare alcune parole pronunciate da Papa Benedetto XVI nell’aprile 2005 a Subiaco. Nella sua ultima conferenza prima di diventare Pontefice, l’allora cardinale Ratzinger disse: «Emerge la responsabilità che noi europei dobbiamo assumerci in questo momento storico. Nel dibattito intorno alla definizione dell’Europa, intorno alla sua nuova forma politica, non si gioca una qualche nostalgica battaglia di retroguardia della storia, ma piuttosto una grande responsabilità per l’umanità di oggi». Sottoscrivo questo pensiero che, a distanza di sei anni, si mostra di straordinaria attualità. L’Europa è il più grande progetto politico, economico e sociale della storia dell’umanità. È un grande "cantiere" di democrazia e inclusione sociale: l’espressione più compiuta di quella identità europea in cui ci riconosciamo e di cui siamo orgogliosi.
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