domenica 12 aprile 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Un volto di donna segnato da rughe profondissime che sembrano ingoiare anche gli occhi, contornato da un fazzoletto di lino dal colore indefinito, appare in prima serata in tv con tutta la sua forza sconvolgente: è il segnale che la realtà ha ancora diritto di comparire in quella scatola magica, rumorosa e sfavillante che è diventata la televisione del nuovo Millennio. Una "maschera" così tragica l’avevamo incrociata tanti anni fa solo in un viaggio nell’entroterra rurale e arcaico dell’Albania, quando ancora il comunismo reale dominava quelle popolazioni. E a ritroso nel tempo, quando eravamo bambini e le nostre estati scorrevano lentissime in un paesino contadino del subappennino dauno, dove la vecchiaia era fatta di stenti, di volti bruciati dal sole e di schiene piegate dal lavoro dei campi. Eppure, quel volto che fragorosamente spezza la narrazione offerta senza soluzione di continuità dalla nostra cultura urbana e massmediatica è quello di una donna dei nostri giorni, una nostra contemporanea, che ha vissuto e vive in un paesino dell’Abruzzo spazzato via dal terremoto. È come se la frattura creata da quella scossa assassina, avesse restituito dignità e protagonismo a chi, sino a ieri, era tenuto ai margini della storia e della narrazione pubblica. Una cittadina italiana con tutti i suoi diritti e con tutti i suoi doveri. Una donna italiana come tante, che avrà molto vissuto e molto amato, che avrà avuto dei figli e vari nipoti, che avrà sfaccendato giorno dopo giorno ripercorrendo mille volte il rosario, che avrà trascorso tante sere d’estate sull’uscio di casa a veder passare i giovani e avrà ripercorso con la memoria i giorni della sua di giovinezza. Ora quella donna, e quel suo volto rugoso, ci riportano al dovere della realtà. All’urgenza di non pensarci tutti eguali: urbani e scolarizzati, educati e borghesi, in buona salute e ben curati, tutti adeguatamente vestiti e nutriti. Alla necessità di guardare l’Italia come essa è e non come ce la immaginiamo, o preferiamo raccontarcela. Un’Italia dai mille borghi, fragilissima e dalle radici profonde che troppo abbiamo trascurato. Ma un’Italia urbana altrettanto fragile, in cui le istituzioni talvolta si distraggono e volgono lo sguardo altrove quando si costruisce un edificio pubblico, e magari non controllano se vengono davvero rispettate le norme antisisma. Prima di tornare precipitosamente alla narrazione pubblica dei lustrini e della pailettes, dei reality e dei talent show, dei telegiornali sonnolenti e dei talk show metrosexual, sarà bene imprimere per sempre quel volto di donna italiana nella nostra memoria. Sarà anche questo un modo onesto per rendere giustizia a quanti sotto le macerie hanno perso la vita e a quanti, un popolo intero, hanno perso quasi tutto. Glielo dobbiamo non solo per onestà intellettuale, ma anche per un dovere di verità. Perché una tenda non è una casa di mattoni.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: