venerdì 22 febbraio 2013
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​E ancora si muovono. In questi giorni accade come all’inizio. Il Vangelo e prima la Bibbia sono una storia di gente che si mette in movimento. Singoli, gruppi, tribù: gente che si mette in moto. Per seguire la Grande Promessa nell’Antico Testamento. E per vedere quell’uomo che diceva d’essere Dio nel Nuovo Testamento. E ancora, c’è gente che si muove per stringersi intorno al Papa che lasciando il suo posto ha riportato ancora tutti a guardare Chi è il centro della Chiesa. Si stanno muovendo verso Roma, si sono già visti arrivare all’Angelus e poi al prossimo e poi arriveranno all’Udienza del Mercoledì. Si organizzano, si chiamano, si invitano. Dicono: si va. Dove? Dal Papa. La fede, parafrasando un famoso romanzo, è una faccenda "on the road". Cioè è movimento. E non certo per uno stupido senso di partecipazione a una specie di evento mondano. È un movimento diverso da quello che porta folle ad assistere a grandi eventi. Qui si tratta di stringersi intorno a un uomo. A Joseph Ratzinger e alla sua testimonianza sorprendente. Perché in questa sorpresa è balenato anche solo per un istante il volto cercato da tutte le folle che si sono messe in moto nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Le folle che si sono mosse dall’Egitto e quelle che si sono mosse verso il luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Le folle che accompagnarono a Gerusalemme l’entrata dell’Arca portata dal re Davide e quelle che cercavano il Nazareno che aveva resuscitato la figlia di Giairo. Ancora il popolo dei fedeli si mette in moto. Era già successo per la morte del suo predecessore, e ora accade per abbracciare Papa Benedetto in questa sua specie di "morte" al mondo. E in entrambi i casi si tratta di folle che si sono mosse per cercare la vita e non la morte. Per dire: siamo con te e con chi la tua vita ci mostra vivo. Nelle parrocchie e tra amici si organizzano i pullman. Si cerca come fare. Si vede chi vuole venire. E chi non potrà muoversi si organizza per creare momenti presso la sua chiesa, o la sede del proprio movimento o associazione. In questo spontaneo e fervido mettersi in moto c’è ribadita una delle grandi caratteristiche di una fede viva. Non si tratta di un discorso, ma di riconoscere una presenza. E di andarvi incontro. La fede, insomma, non consiste in una serie di considerazioni più o meno esatte che ciascuno di noi può svolgere sulla vita la morte e neppure su Dio o su tutti i santi del calendario. Ma è un mettersi in moto. Un commuoversi, un convergere e convertire i passi verso un punto che si riconosce decisivo per il significato della propria esistenza. Per questo i cristiani fanno i pellegrinaggi. Non si tratta solo della sempre presente e antichissima consuetudine degli uomini di ogni epoca e cultura a compiere dei "cammini" purificatori, o dei percorsi al termine dei quali offrire un sacrificio o un compiere un gesto salvifico. No, qui si tratta di un convergere verso qualcuno, andare all’appuntamento con un vivente. Andare a vedere ancora, come accadde ai primi due discepoli che seguirono Gesù al Giordano dopo lo strano grido di Giovanni Battista, dove Lui abita. Il movimento, il cammino, il mettersi in moto di questi giorni è una testimonianza della natura del cristianesimo. Non un bel moto spontaneo di gente facile a commuoversi. Non un tributo alla personalità. E riaccade ogni volta che nella storia accade una testimonianza autentica. Può capitare ovunque, e la geografia viva della fede cristiana è proprio questo segno di movimenti, di gente che si riferisce a luoghi e persone, che si raduna intorno a punti vivi di testimonianza e di richiamo. Accade anche a Roma, in queste ore in modo così straordinario, nella sede di Pietro.
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