sabato 3 maggio 2014
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Le sfide globali che l’umanità (e, per cerchi concentrici più piccoli, la Ue e l’Italia) hanno di fronte nei prossimi anni sono da far tremare i polsi. I problemi della crescita, dell’ecologia, della finanza e dei fini ultimi della società vanno affrontati assieme per evitare i due sgraditi estremi di uno sviluppo socialmente e ambientalmente insostenibile o, all’opposto, di un ambientalismo utopistico che non tiene conto delle esigenze di creazione di valore economico necessarie per creare occupazione.Paradossalmente, è proprio la non linearità del progresso degli ultimi decenni a proporci tali sfide. Stiamo vivendo, infatti, un’epoca eccezionale se pensiamo che l’aspettativa di vita media in Italia è aumentata di 10,7 anni dal 1970 a oggi e il 23% di tutti i beni prodotti dalla nascita di Cristo ai giorni nostri è venuto alla luce negli ultimi 14 anni. Eppure, proprio in un’epoca straordinaria come questa, assistiamo a fenomeni di trasformazione economica apparentemente contraddittori come il recupero in media dei Paesi poveri ed emergenti (segno di una progressiva convergenza ancora di là da realizzarsi pienamente) accompagnato da una crescita delle diseguaglianze di reddito e ricchezza e ci domandiamo come è possibile vincere la sfida della sostenibilità ambientale. Forse, quando gli input per nuove produzioni proverranno interamente da rifiuti delle produzioni precedenti. In questa fase, anche se i rifiuti sono già largamente impiegati, e sono diventati risorsa da pagare a caro prezzo, siamo ancora lontani da quel giorno.La sfida è resa ancor più difficile dalla rottura del precedente equilibrio nei rapporti di forza tra cittadini, istituzioni e imprese a seguito della "globalizzazione", un fenomeno che appare simile all’epopea della "conquista del West", nella quale una prima fase, caratterizzata dallo sprigionarsi delle energie "animali" dei pionieri, fu seguita solo poi dall’arrivo della legge e delle istituzioni.In questo scenario così complesso la strategia vincente per il progresso verso il bene comune passa necessariamente per un allargamento di visione e di prospettive che sconfigga visioni riduzioniste della persona, dell’impresa e della definizione di ben-essere (da sempre compito e obiettivo della dottrina sociale della Chiesa, per questo mai come oggi così oggetto di attenzione anche da parte di non credenti). La persona realizza infatti la sua piena fertilità economica, sociale e spirituale solo se supera l’angusta prospettiva dell’economicismo e sviluppa le virtù sociali della cooperazione, della fiducia e della meritevolezza di fiducia, della gratuità. È questo che rende possibile la costruzione di squadre e comunità produttive coese.Le imprese danno a loro volta il loro pieno contributo al ben-vivere se creano valore in modo socialmente e ambientalmente sostenibile e se distribuiscono in modo equilibrato la torta del valore aggiunto tra i diversi stakeholders (definizione corrente dei molteplici "portatori di interessi" nelle nostre società complesse). Gli indicatori di benessere fanno il loro dovere quando catturano la multidimensionalità di una "ricchezza" che non si identifica con una crescita del Pil non-importa-come, ma tengono conto del fatto che la ricchezza delle nazioni è lo stock dei beni economici, relazionali, ambientali, culturali, spirituali di cui una comunità insediata su un determinato territorio può godere (così come abbiamo fatto in Italia con la costruzione di "indicatori di benessere equo e sostenibile").Il riequilibrio non può che avvenire con un rinnovato protagonismo della società civile che deve dare manforte alle buone imprese e alla buona politica evitando il rischio che essa sia catturata dai "giganti" che vuole regolare.  Avere chiara in testa questa situazione fornisce una bussola essenziale nelle scelte quotidiane di cittadini e governi. Meglio, e l’esempio non è casuale, creare valore con i bonus per il risparmio energetico nelle ristrutturazioni edilizie che con l’azzardo o le dipendenze. La questione cruciale è costruire meccanismi premiali per la qualità sociale e ambientale delle filiere per evitare che la globalizzazione sia una corsa verso il basso su diritti umani e ambiente. Clausole sociali e ambientali negli accordi di libero scambio, soglie minime di responsabilità fiscale e ambientale per la partecipazione agli appalti, maggiore informazione per consentire ai cittadini di esprimere il loro consenso/dissenso verso le imprese su questi temi sono gli ambiti cruciali per orientare la globalizzazione nella direzione giusta.Ma il campo di battaglia fondamentale nel quale si gioca la partita è e resta quello della finanza. Regole che riportino questa immensa forza al servizio dell’economia reale sono e saranno decisive. Separazione tra banca commerciale e banca d’affari, lotta efficace all’elusione e all’evasione fiscale, modifica degli incentivi per manager e trader e del costo relativo delle attività speculative rispetto a quelle di finanza dell’economia reale sono le direttrici fondamentali di una riforma ormai ineludibile. Diversi aspetti di questa partita di scrittura (o riscrittura) delle regole si stanno giocando, proprio in questo momento, su vari tavoli in Europa e nelle istituzioni internazionali. Sarebbe pertanto fondamentale sapere con chiarezza in che modo le varie forze politiche e i singoli candidati alle elezioni europee intendono giocarla.
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