domenica 21 giugno 2009
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Poche ore dopo l’apertura dell’anno sacerdotale nel nome del curato d’Ars, Bene­detto XVI parte stamattina per San Giovanni Rotondo. Una coincidenza, forse non priva di una suggestione simbolica. Ap­parentemente, oltre cent’anni e due paesi e mondi diversi, e abiti differenti separano i due santi: uno parroco, l’altro cap­puccino, uno comunicato clan­destinamente negli anni della Rivoluzione, l’altro figlio del nostro Sud, agli albori dell’Ita­lia unita. E tuttavia c’è un filo che unisce, nell’incrociarne le biografie, Jean- Marie Vianney e Francesco Forgione. Un filo che comincia da comu­ni origini povere e contadine: in sette i fratelli Vianney, in set­te i Forgione. Pastori, entram­bi, a sei anni. Analfabeta anco­ra a diciassette anni, il curato d’Ars; svezzato alla grammati­ca da un contadino, Padre Pio. Ma, fin qui, potrebbe essere u­na storia comune a tanti, nelle campagne occidentali dell’era preindustriale. La segreta sim­metria si rivela invece nell’età adulta, e negli anni del mini­stero. Entrambi robusti uomini di preghiera, manovali del ro­sario, già in ginocchio alle quat­tro del mattino; entrambi profondamente legati al culto eucaristico ( « Lui è qui! » , an­nunciava estatico sull’altare, l’ostia fra le mani, il curato d’Ars; e a San Giovanni Roton­do Padre Pio con lunghe pause adoranti, sull’altare, durante la messa). Entrambi infine, ed è l’aspetto più noto, avevano il carisma di leggere nel cuore, e così attiravano i fedeli anche impensabili, che si sentivano benevolmente scrutati fin nel­le viscere. Perfino i luoghi sono in qual­che modo simili: Ars, solo 230 abitanti in una terra paludosa, era, prima del curato, « l’ultimo paese dell’Ain» , e San Giovan­ni Rotondo un borgo rurale sconosciuto: quasi che Dio a­mi, per gettare i suoi semi più vivi, la terra umile dei posti di­menticati. Certo, altre note comuni rie­cheggiano: la sofferenza delle stimmate di Padre Pio, in Vian­ney è un male oscuro un dolo­re che segretamente tormenta. Ed entrambi conoscono un co­mune nemico, che batte alle porte di notte, che strepita nel­la camera silenziosa: entrambi sono drammaticamente consci della concretezza del male. Ma ciò che davvero impressio­na, la coincidenza che colpisce in questo tornare alla ribalta della Chiesa, in poche ore, di questi due sacerdoti contadini, ex pastori, non dotti, è l’analo­gia fra le interminabili code di penitenti di Ars con quelle di San Giovanni Rotondo. Le fila di poveri, ricchi, banditi, assas­sini, signori: tutti con la mano tesa, mendicanti. Di cosa? Di misericordia; della misericordia di Dio, incarnata nella faccia di un prete – di un uomo. Che proprio con quella povera faccia – talvolta, povera e inadeguata davvero – porta­no nella storia un Dio presente e vivo, qui e ora. È la miseri­cordia del curato d’Ars, che a­prì nella sua chiesa una porta laterale, e accanto, subito den­tro, mise un confessionale; per quelli che non volevano farsi vedere in chiesa, per quelli che venivano di nascosto, dopo u­na vita intera lontano. E forse è solo un caso – e tutta­via a volte i casi parlano – se il Papa, all’inizio di quest’anno dedicato ai sacerdoti, in meno di 48 ore va dalla memoria di Ars a quella di Pietrelcina. Co­me a indicare ai sacerdoti nel­l’ostia consacrata, e nel sacra­mento del perdono, i due cen­tri del loro ministero. Il pane, e il perdono; Cristo, e la sua mi­sericordia. Tutto ciò di cui gli uomini, anche se a volte non lo sanno, hanno bisogno.
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