Se tutto cambia, serve più educazione
giovedì 19 settembre 2019

Caro direttore,
le attuali tribù di dipendenti Cdalle droghe sono tragicamente diverse da quelle che abbiamo fino a ieri affrontato, e in qualche modo recuperato con i metodi, i mezzi e le strutture comunitarie. Mentre stavamo discutendo da mesi come pulire il parco di Rogoredo a Milano, nel giro di poche ore i branchi di nuova costituzione hanno riempito tre, quattro luoghi – tra cui San Donato – in modo altrettanto disastroso. Ieri, la morte e la disperazione ci impiegava qualche mese ad organizzarsi. Oggi, tutto accade con la velocità dei telefonini. Se penso al Parco Lambro degli anni Ottanta e poi vedo i servizi televisivi e leggo le relazioni riportate dalla stampa, circa le situazioni che si stanno moltiplicando con velocità e astuzia incredibili tra i ragazzi 'normali', mi pare siano passati secoli e soprattutto che i frequentatori di allora rispetto a questi, fossero cadaveri ambulanti e gente riemersa da qualche epidemia extraterrestre. Oggi, non solo la velocità degli spostamenti e dei luoghi dello spaccio ci scavalca e ci travolge, ma è soprattutto il tipo di popolazione che frequenta questi avamposti a spaventarci e a cancellare la fatica fatta per decenni. Ieri, ripeto, erano i disperati, i sopravvissuti ai sottopassi, alla galera.

Oggi, sono ragazzi borghesi, normali, con l’aria quasi divertita, che vanno alla ricerca di luoghi del gioco, della curiosità. La tragedia è nostra, per loro si tratta di curiosità. Questi nuovi 'utenti' usano tutto, provano tutto, come fosse un nuovo tipo di profumo o una marca di scarpe. Ricordiamo la storia ancora recente di Francesco, ragazzo padovano che, avendo appunto provato tutto, cercava anche l’emozione dell’eroina. Poiché l’ago gli faceva schifo (non la roba) ha 'assoldato' uno che gli infilasse quell’ago e così è arrivata assurdamente la morte. Ragazzo di ottima famiglia che in seguito a un incidente e nonostante tutto il successivo lavoro di riabilitazione, aveva una capacità di deambulazione limitata. Cosa che ha stravolto la sua giovinezza. La raffinata insensibilità di bulli coetanei ha completato il disagio. Passò dalla musica e dall’arte alle droghe. Seguito con affetto dalla famiglia entrò in comunità, riuscì a uscirne. I nuovi giovani – dobbiamo ammetterlo, con umiltà – spiazzano però anche le famiglie più preparate. Quello che sentono dentro rimane a noi sempre più misterioso perché vissuto in modo radicalmente diverso dal nostro. Ci sentiamo impotenti e inermi.

Noi, genitori, educatori, adulti, veniamo da un altro secolo e perfino le nostre parole escono da un altro vocabolario. Il ventenne Francesco aveva provato tutto, gli rimaneva l’eroina. E purtroppo è riuscito a provarla. Quali nuovi progetti dobbiamo inventarci? Come ascoltare i nostri ragazzi o addirittura certi adulti più robotizzati di loro? Come, poi, intervenire adeguatamente? In questi casi parlare di comunità, di psichiatri, di galere, significa sbagliare in pieno l’aggancio. Scusate, se torno ancora una volta alla scuola. È l’unico luogo al quale accedono tutti i nostri figli per un periodo lungo, che è anche il più delicato e formativo. La scuola di ieri era soprattutto trasmissione di conoscenze e di apprendimenti classici, scientifici e artistici.

Col 'sessantottismo' nacque la guerra tra una scuola laica che doveva solo insegnare e una scuola che avrebbe dovuto anche educare. Ma la paura che sotto la parola educazione si nascondesse un clericalismo bigotto, ha bloccato l’unica vera strategia. E ci ritroviamo con docenti disorientati che non se la sentono di affrontare una progettualità preventiva, inserendo già nei programmi della prima elementare, esperienze, testimonianze e attività non certo ristrette al solo mondo del disagio, ma aperte a un tipo di vita che deve trasformare il digitale in valoriale e organizzare risposte alle sfide sociali e culturali e ai sogni all’altezza dei tempi. Mai come in questo periodo i giovani hanno, infatti, bisogno di protagonismo attivo. Dentro di loro custodiscono sensibilità, emozioni, desideri frammischiati a paure, solitudini, incomprensioni, che noi nemmeno immaginiamo. Purtroppo le frapposizioni talvolta generano in noi paura e in loro disagi.

Se la scuola avesse il coraggio di confrontarsi con le ingiustizie che crescono, ora dopo ora, giorno dopo giorno, assieme ai nostri figli, a fine anno oltre che la promozione potremmo spalancare le porte anche alla coscienza civica delle nuove generazioni. E qui, solo ora, metto in campo la famiglia. Perché le due realtà o camminano insieme e si compensano, o insieme le perdiamo. Ma se si perdono le due gambe vere di una società vera, rimangono solo operazioni di recupero, di riparazione e di penalizzazione. Tutti sappiamo tutto sulla famiglia. Quello che ancora non sappiamo è che le famiglie non vanno lasciate sole ad affrontare una guerra che nemmeno noi 'esperti' siamo preparati a fare. La saggezza dice: laddove non cresce l’educazione, non può nascere civiltà, società, democrazia e umanismo autentico.

Sacerdote, Fondazione Exodus

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