mercoledì 28 febbraio 2018
Il 23 marzo la prima riunione delle nuove Camere; le consultazioni per il governo potrebbero iniziare il 2 aprile. Tra le opzioni a disposizione di Mattarella anche il ricorso a un «esploratore»
Dopo le elezioni, quali saranno gli equilibri che porteranno al nuovo governo?

Dopo le elezioni, quali saranno gli equilibri che porteranno al nuovo governo?

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Quali saranno i passaggi che dopo il voto del 4 marzo porteranno alla formazione del nuovo Governo? I primi sono già fissati con certezza: nelle tre settimane successive alle elezioni si svolgeranno le operazioni di scrutinio e di proclamazione degli eletti e il 23 marzo le nuove Camere celebreranno la loro prima riunione.

Primo compito: l’elezione dei rispettivi presidenti, che potrebbe richiedere, almeno a Montecitorio, alcuni giorni. Poi si costituiranno i gruppi parlamentari, il governo Gentiloni darà le dimissioni e tutto sarà pronto per il primo passaggio del procedimento di formazione del governo: le consultazioni al Quirinale, che potrebbero iniziare lunedì 2 aprile.

Sergio Mattarella consulterà il suo predecessore, i neoletti presidenti delle due Camere e i rappresentanti delle forze politiche presenti nel nuovo Parlamento e a questo punto dovrà compiere le prime scelte.

L'incarico al leader della maggioranza (se sarà ben definita)

Ovviamente tutto sarà agevole se gli elettori (e il sistema elettorale) avranno mandato in Parlamento una maggioranza definita, come è accaduto – pur con diverse varianti – in sei delle 17 precedenti legislature (1948, 1994, 1996, 2001, 2006, 2008 e 2013): in tal caso Mattarella darà l’incarico di formare il nuovo governo al leader della maggioranza, ove essa sia in grado di designarlo con chiarezza (e non è scontato che sia così); spetterà quindi al presidente del Consiglio incaricato dimostrare di avere i numeri nelle due Camere e proporre una lista dei ministri. Al limite, tutto potrebbe essere fatto in pochi giorni, se non in poche ore: nel 2008 Silvio Berlusconi fu in grado di presentare a Napolitano la lista dei ministri del nuovo governo all’atto stesso dell’incarico, che quindi fu seguito immediatamente dalla sua nomina.

Il nuovo Governo dovrà quindi giurare e presentarsi entro 10 giorni alle Camere per ottenere la fiducia. In uno scenario con maggioranza predefinita, questi passaggi saranno più o meno automatici.

Lo scenario più probabile: dalle urne nessuna maggioranza

Se, invece, dalle urne non uscirà alcuna maggioranza, il presidente della Repubblica dovrà assumere un ruolo maieutico e sforzarsi di agevolare la formazione di una maggioranza. Tutti gli interrogativi nascono qui, anche perché è proprio questo lo scenario più probabile.

L'obiettivo di Mattarella sarà comunque quello di nominare un presidente del Consiglio e un Governo che possano ottenere la fiducia delle due Camere, ma come raggiungere questo risultato? Supponendo che confezionare un accordo di governo risulti difficile, il capo dello Stato avrà davanti almeno alcune alternative, dal punto di vista del metodo.

Prima alternativa per Mattarella: mediazione diretta o «esploratore»

La prima sarà fra lo svolgimento di un ruolo di mediazione diretta fra le forze politiche e il ricorso a un 'esploratore'. In questo secondo caso, il Presidente potrebbe fare un 'passo di lato' nella crisi e chiedere a una personalità politica rispettata (uno dei neo-eletti presidenti delle due Camere, anche perché comunque espressione di una maggioranza parlamentare, o un ex premier) di far emergere possibili linee di accordo su cui una maggioranza possa essere costruita.

Si tratta di una soluzione che ha vari precedenti, come i mandati conferiti da Pertini a Morlino nel 1983 e da Cossiga a Iotti nel 1987, ma essa è piuttosto infrequente a inizio legislatura.

Mattarella potrebbe allora scegliere l’altra strada, quella di condurre lui stesso la mediazione fra le forze politiche, ma con un inconveniente: in caso di designazioni concorrenti per la premiership (ad esempio dei 5 Stelle per Di Maio, del centrosinistra per Gentiloni o Renzi e del centrodestra per Tajani o Salvini) in uno scenario ipotetico in cui nessuna indicazione fosse supportata da una maggioranza, il capo dello Stato dovrebbe operare scelte e magari accettare l’ipotesi di incarichi che non vadano a buon fine.

Seconda alternativa per Mattarella: designazione di sua iniziativa

L’alternativa, in questo caso, sarebbe quella di una designazione di iniziativa non dei partiti, ma del presidente della Repubblica – sul modello di Pella nel 1953, di Ciampi nel 1993, di Dini nel 1995 e di Monti nel 2011 – il che, però, porterebbe a un ritorno a quell’attivismo presidenziale che Mattarella ha accuratamente evitato nei primi tre anni del suo mandato, differenziandosi, in questo, dalla linea a suo tempo seguita da Scalfaro e da Napolitano.

Le opzioni: un preincarico senza autonomia...

Tanto nel caso in cui opti per un incarico di iniziativa presidenziale, quanto in quello in cui accolga le indicazioni dei partiti, Mattarella avrà comunque in mano alcune alternative. Potrà assegnare un preincarico (come quello che Napolitano conferì a Bersani nel 2013 e, prima, Scalfaro a Prodi e a D’Alema nel 1998), che consentirebbe alla personalità di verificare le possibilità di formare un governo, ma senza l’autonomia di decidere se presentare al capo dello Stato la lista dei ministri e andare poi a cercare la fiducia delle due Camere.

... oppure un incarico pieno

Oppure potrà attribuire un incarico 'pieno' che lascerebbe più margini di manovra al presidente del Consiglio incaricato. In passato non sono mancati passaggi a vuoto, anche ad inizio legislatura, come gli incarichi a Piccioni nell’estate 1953, a Moro dieci anni dopo e a ben tre personalità diverse (Andreotti, Craxi e Pandolfi) nel 1979, oltre al già citato pre-incarico a Bersani del 2013.

Ove in qualche modo si delineasse già in questa fase un accordo per sostenere un governo in Parlamento, si potrebbe allora passare alla nomina del nuovo esecutivo e alla sua presentazione alle Camere. Dal 1948 a oggi il governo nominato a inizio legislatura dal Capo dello Stato ha sempre ottenuto la fiducia, salvo l’ottavo governo De Gasperi nel luglio 1953 (fallimenti analoghi hanno poi subito Fanfani nel 1954 e nel 1987 e Andreotti nel 1972 e nel 1979, ma non ad inizio legislatura).

Spesso, però, la soluzione che la crisi post-elettorale ha partorito è stata di breve durata: è il caso dei governi Pella (1953), Fanfani II (1958), Leone I e II (1963 e 1968), Cossiga I (1979), Goria (1987) e Letta (2013), al punto che alcuni di questi esecutivi – quelli guidati negli anni Sessanta da Giovanni Leone – vennero definiti 'balneari' dai media.

Governo Gentiloni in carica per gli affari correnti

Mentre tutte queste cose si svolgeranno – vale a dire fino al giuramento del nuovo Governo – resterà in carica l’esecutivo presieduto da Paolo Gentiloni, che gestirà gli affari correnti. Deve invece escludersi che tale governo possa governare indefinitamente, dato che la prassi costituzionale italiana vuole che fino alla formazione di un nuovo governo supportato dalle fiducia parlamentare l’attività legislativa delle Camere non possa regolarmente iniziare.

In caso di fallimento c'è il ritorno alle urne

In caso di fallimento di questi tentativi, non resterà che tornare alle urne (facendo luogo a quelle che gli anglosassoni chiamano early elections): è accaduto in Spagna nel 2016 ma non c’è alcun precedente italiano di questo tipo. Anche questa decisione – quella di sciogliere le neo-elette Camere – spetterà a Mattarella, con la controfirma del presidente del Consiglio.

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