Uno stimolo per ragazze ancora frenate nella ricerca
mercoledì 4 ottobre 2023

Ieri e lunedì è stato conferito il premio Nobel a due studiose: Katalin Karikó per la Medicina, ex equo con Drew Weissman, e Anne L’Huillier per la Fisica, insieme a Pierre Agostini e a Ferenc Krausz. A Karikó e Weissman è stato riconosciuto il contributo fondamentale alla comprensione di come la molecola di RNA messaggero interagisce con il sistema immunitario, permettendo lo sviluppo dei vaccini di nuovo tipo, tra cui quelli anti Covid-19.

A partire dal 2000, le ricerche sperimentali condotte da L’Huillier, Agostini e Krausz hanno messo a punto i primi strumenti per poter esplorare il mondo degli elettroni all’interno degli atomi e delle molecole, aprendo la strada a importanti applicazioni, come ha ricordato il Nobel per la Fisica 2021 Giorgio Parisi. Grande e viva soddisfazione per i Nobel attribuiti alle scienziate? Sì e no, verrebbe da dire. Katalin Karikó, classe 1955, è la tredicesima donna a ricevere il Nobel per la Medicina. La sua carriera accademica e di ricercatrice non è stata affatto semplice né gratificante: le sue richieste di finanziamento a supporto della ricerca furono sistematicamente negate e i risultati furono rifiutati dalle prestigiose riviste Science e Nature. Per tutte queste ragioni, che Max Weber definirebbe plutocratiche, non fu promossa a full professor dall’University of Pennsylvania e si dovette accontentare del ruolo di professore a contratto. Pertanto, nel 2013 si risolse a spostarsi presso l’azienda BioNTech Rna Pharmaceuticals, diventandone vicepresidente.

Finalmente, dal 2021 ha una cattedra nell’Università di Szeged, dove aveva studiato, e una presso la Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania. È andata un po’ meglio a Anne L’Huillier, nata nel 1958 a Parigi, dove ha studiato e dove ha lavorato, dopo alcuni periodi di ricerca post-dottorato all’estero, fino al 1993, presso il Centro di Ricerche Nucleari di Saclay. Nel 1994 si è trasferita all’Università di Lund, dove è diventata professore nel 1997 e poi membro dell’Accademia svedese delle Scienze. L’Huillier è la quinta donna da quando è stato istituito il premio a conquistare il Nobel per la fisica. La prima fu Marie Curie, nel 1903, seguita nel 1963 da Maria Goeppert-Mayer (1963).

Ma bisognerà attendere il 2018 e poi il 2020 per avere ancora due donne premiate, rispettivamente Donna Strickland e Andrea Ghez. Nel nostro Paese la presenza delle studentesse nei corsi universitari delle scienze della vita (biologia e medicina) è aumentata considerevolmente negli ultimi anni, superando numericamente quella degli studenti. Tuttavia, le docenti nelle scuole di medicina sono ancora segregate nei ranghi accademici più bassi (non è così per la biologia). La percentuale delle studentesse iscritte ai corsi STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, e matematica) è ancora inferiore al 30 per cento, e anche le docenti in queste aree sono poco rappresentate (un quadro più preciso verrà fornito a breve dall’ANVUR, come approfondimento del Rapporto Annuale dell’Agenzia). Eppure, le ragazze sono più brave dei loro colleghi visto che ottengono voti di laurea migliori e il loro corso di studi risulta più regolare.

È stato suggerito che quello che frena le ragazze dall’intraprendere gli studi nelle aree STEM siano gli stereotipi che restituiscono una loro intrinseca inadeguatezza per questo tipo di studi. Un altro elemento che è stato identificato come un forte deterrente è rappresentato dall’assenza di modelli femminili di riferimento cui ispirarsi. Lo spreco del capitale femminile è dunque evidente. Ecco che allora il significato di riconoscimenti come il Nobel alle donne è fondamentale. Ma se chi li ottiene ha avuto un percorso così accidentato, come nel caso di Karikó, c’è da chiedersi se lo stimolo per le ragazze a perseguire questa carriera sia sufficiente. Dovremmo forse intraprendere politiche accademiche che siano efficaci per invogliare tutte le giovani, non solo quelle così tenaci come la scopritrice del vaccino a mRNA.

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