Donne che non dicono la verità sulle donne
venerdì 13 maggio 2022

La tesi che il «diritto di aborto» faccia crescere l’economia ancora non era entrata nel dibattito pubblico. È stata Janet Yellen, segretaria al Tesoro degli Stati Uniti d’America, a introdurla, martedì scorso, nel corso della sua audizione alla commissione Banche del Senato americano. Non è stata un’idea tutta sua. Yellen era andata a parlare di stabilità finanziaria. Ma come prima domanda il senatore democratico Bob Menendez le ha chiesto quale sarebbe l’impatto economico della «perdita del diritto di aborto» per le donne. Era una domanda concordata – lo si capisce perché la segretaria al Tesoro aveva già pronti gli appunti per rispondere – e aveva l’obiettivo politico di aggiungere un’argomentazione economica alla lista di tesi contro la possibile decisione della Corte Suprema americana che eliminerebbe il diritto di aborto a livello federale. Yellen ha risposto che «eliminare il diritto delle donne di decidere quando e se avere figli avrebbe effetti molto negativi sull’economia ». Ha collegato la «sanità riproduttiva» al miglioramento del tasso di occupazione delle donne, alla loro emancipazione della povertà, alla riduzione della loro necessità di aiuti pubblici.

Con quella risposta Yellen pensava probabilmente di avere svolto il suo compito politico da economista scelta da un presidente democratico. Ma poi sono arrivate le domande non concordate. «Ha detto che interrompere la vita di un bambino è positivo per la partecipazione alla forza lavoro?» le ha chiesto il repubblicano Tim Scott, cresciuto assieme al fratello nella Carolina del Nord con una madre sola, povera e nera che lavorava come aiuto infermiera anche sedici ore al giorno. È toccato a un uomo fare la parte del bambino della favola del Re Nudo, e ricordare a Yellen che trattare un tema «doloroso e importante» come l’aborto in un dibattito in commissione Banche per sentirne parlare come fosse una questione tecnica utile a guadagnare qualche punto percentuale di occupazione femminile può risultare «insensibile», «duro». La risposta (stavolta senza appunti) di Yellen è stata asettica e si è conclusa così: «Ci sono ricadute sull’occupazione femminile. I bambini cresceranno in povertà e peggioreranno la loro situazione. Questo non è duro, è la verità».

Yellen non è Elisabetta Franchi, l’imprenditrice bolognese della moda travolta dalle polemiche dopo avere detto a un evento del 'Foglio' che assume solo donne con più di quarant’anni perché «se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano fare figli li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno già fatto anche quello, sono lì tranquille con me e lavorano h24». Franchi ha ammesso, con candida rozzezza, di avere verso le donne in età fertile lo stesso atteggiamento diffidente di migliaia di altri imprenditori italiani, che magari hanno la prudenza di non ammetterlo in occasione di eventi pubblici. Yellen è stata la prima donna presidente della Federal Reserve e ora è la prima donna segretaria al Tesoro degli Stati Uniti. È la donna più potente dell’economia mondiale, una di quelle che – se vuole – può cambiare le cose. Eppure non sembra riuscire ad andare oltre alla stessa visione di Franchi. Quella per cui può essere accettabile che le donne a un certo punto della loro vita si trovino davanti all’alternativa tra i figli e le soddisfazioni lavorative ed economiche. Un bivio che si può presentare in mille forme, da quella soft dell’imprenditrice emiliana (niente più figli se vuoi fare la manager) a quella hard dell’economista americana (se il figlio che aspetti può renderti in qualunque modo più povera, c’è l’aborto).

Mettere le donne davanti a questa alternativa è una tragedia a cui le nostre società si sono tristemente abituate, al punto che anche le donne che raggiungono posizioni di potere sembrano considerarlo normale. L’economia famigliare non può avere un posto di rilievo nelle motivazioni che spingono una coppia o una donna sola a fare o tenere un figlio. Quando questo accade, quando il problema sono i soldi o il lavoro, è perché centinaia di regole scritte male – sul fisco, sul lavoro, sugli asili, sull’assistenza alle famiglie ma anche dentro le imprese – sono incapaci di tutelare una delle esigenze più naturali degli esseri umani, quella di essere generativi anche riproducendo la vita. Sono le leggi che devono cambiare, non le aspirazioni delle donne. Assumere solo chi di figli non ne farà più e incoraggiare ad abortire chi appare troppo povero per poterseli permettere sono aspri palliativi che non curano davvero economie e imprese dal fiato corto. Non sono «verità», ma veleni per un Occidente malato acuto di mancanza di speranza e di denatalità.

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