martedì 6 dicembre 2011
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La Lega Nord torna alle origini. E "scommette" contro un’Italia destinata a perdere la battaglia finanziaria, che secondo Umberto Bossi avrebbe già dato il suo esito nefasto. Anche negli anni Novanta, quando – senza l’euro – l’economia italiana rischiava il collasso, la Lega costruì il suo percorso e ottenne un allora inatteso consenso sostenendo che solo il Settentrione poteva partecipare all’integrazione economica europea, a patto di liberarsi della "palla al piede" dello Stato centralistico "romano" e dell’assistenzialismo meridionale.Sono passati vent’anni da allora, e di nuovo l’Italia si affida a un governo tecnico, quello di Mario Monti oggi, quello di Carlo Azeglio Ciampi allora, e dalle file dei verdevestiti si leva un’ondata di protesta che volge al secessionismo. Ovviamente bisogna distinguere tra l’opposizione al governo, che è sempre legittima in democrazia e che ha ragioni sociali consistenti da esprimere, e l’opposizione all’Italia unita, che non è – contrariamente a quel che si dice nel 'parlamento' padano – lo sbocco naturale sul piano istituzionale dell’opposizione politica e sociale alle scelte dell’esecutivo. Il fallimento dell’Italia non sarebbe neanche, come sembrano far credere le affermazioni della Lega, un passaggio foriero di «liberazione» per le popolazioni settentrionali. E non lo sarebbe per alcun altro. Non sarebbe, cioè, una finestra di opportunità nuove, ma un baratro dal quale sarebbe difficilissimo risollevarsi per tutti, a cominciare dagli abitanti del Nord, le cui attività economiche sarebbero colpite al cuore.Dall’insolvenza dello Stato non si salverebbero neppure le casse previdenziali della Lombardia e del Veneto, che pure oggi sono le uniche in equilibrio, mentre alle imprese del Settentrione non arriverebbero più neppure i faticosi sostegni finanziari che erogano oggi le banche. Si può anche pensare che, seppure involontariamente, il catastrofismo leghista finisce con l’accodarsi alla pressione per il default del debito italiano che viene da Oltralpe, che sia declinato in tedesco, come pensa Roberto Calderoli, o in inglese, com’è più probabile visto l’atteggiamento spigoloso della finanza americana nei confronti dell’euro, che oggi è anche la moneta dei cittadini dell’Italia del Nord. Purtroppo le aspettative catastrofiste non sono del tutto infondate, ma questo dovrebbe spingere a cercare i rimedi possibili, non a speculare sulle conseguenze del disastro. Naturalmente, invece, è del tutto legittimo e persino utile cercare o proporre soluzioni diverse da quelle prospettate dall’esecutivo in carica: questa è la funzione dell’opposizione parlamentare che deve sempre essere rispettata. La Lega non è sola nel denunciare il pericolo di un effetto recessivo delle misure del pacchetto Monti, non è sola nel criticare l’accumulazione eccessiva di provvedimenti sul sistema previdenziale (che Roberto Maroni aveva cercato, a suo tempo, di migliorare con un provvedimento che poi il centrosinistra gli cancellò, oggi lo si può ben dire, sbagliando).Negli ultimi vent’anni, la Lega ha assunto anche funzioni essenziali nel governo del Paese, ha promosso riforme anche nei settori più delicati, a cominciare da quella del mercato del lavoro ideata da Mario Draghi, insomma non si è sottratta all’onere e alla responsabilità di dare il suo contributo alla trasformazione dell’Italia. Anche per questo il ritorno alle origini, alle pulsioni separatiste, non è lo sbocco obbligato del suo percorso o lo sfondo necessario per un’opposizione dura e pura. I due aspetti della piattaforma leghista, proprio per questo, non debbono essere sottovalutati: l’opposizione nel merito richiede risposte di merito, la fuga nell’ideologia secessionista richiede una risposta centrata sulla capacità di realizzare, nell’ambito di un’Europa tendenzialmente più federale, uno Stato meno costoso e meno accentrato, ma proprio per questo più unito.
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